Bioregione urbana
Nell’ultimo numero della rivista Scienze del territorio dedicata al tema dell’Abitare il territorio al tempo del Covid, il professor Ottavio Marzocca analizza il legame fra il sorvegliare e il dilagare delle malattie infettive e, in seguito, delle pandemie. La prima questione che emerge è quella della interrelazione fra l’ambiente, gli ecosistemi, le città e la proliferazione di un nuovo tipo di malattie, le quali rischiano sempre e comunque di diventare pandemie. Soprattutto per quanto riguarda il fenomeno della zoonosi ovvero di agenti patogeni in grado di compiere un salto di specie, esattamente come è avvenuto per il Covid-19. Il dilagarsi delle epidemie verso una accelerazione pandemica, secondo l’analisi di Marzocca, sembra stia diventando un tratto caratteristico del mondo globale. Le grandi opportunità di scambi commerciali, la mobilità facilitata, l’espandersi delle città provocano grandi trasformazioni non solo nel tessuto urbano, ma soprattutto negli ecosistemi. L’accrescersi delle città, in particolare, compromette gli ambienti destinati allo sviluppo, tanto che non solo abbiamo modifiche nella forma del territorio o del paesaggio ma anche nella qualità stessa della vita. L’accrescimento delle città, in altre parole, non è sempre sinonimo di benessere e di qualità della vita. Anzi, dinanzi all’analisi di Marzocca per quanto riguarda la composizione delle città, risulta sempre più chiaro come l’espansione non sia mirata ad un progresso civico e sociale, quanto ad una utilità prettamente economica e mercantile. Case che crescono all’ombra delle grandi industrie, quartieri per ricchi immersi nel verde, alveari umani fatiscenti spacciati per alloggi popolari, come anche enormi vuoti urbani lasciati da edifici abbandonati, sono i tratti caratteristici della città, sintetizzati da Foucault nella coppia di termini biopolitica e biopotere. Dove per biopolitica si intendono tutte quelle politiche di protezione della vita e di sostegno alla vita, mentre per biopotere si intendono tutte le decisioni che l’Istituzione, qualsiasi essa sia, prende nei confronti della vita dei cittadini. Maggiore è il biopotere che le Istituzioni hanno, minore è la biopolitica intesa come scelta civica, come decisione autonoma dei cittadini. A questo si aggiunge, non solo un controllo del biopotere da parte delle Istituzioni riconosciute o “normalizzanti” ma anche il biopotere determinato dall’Istituzione “Io”. Il trionfo del soggettivismo, del privato cittadino e dell’abbandono della sfera pubblica alla delega statale, è un fenomeno che sminuisce maggiormente il senso civico della polis greca o della civitas romana. Modelli virtuosi del passato ma che oggi, non sono più riproponibili se non in relazione ad un nuovo modo di concepire le città, ad una nuova idea sviluppata dagli studi territorialisti di bioregione urbana. In altre parole, se il destino delle città sembra quello di diventare grandi megalopoli, grandi contenitori di lavoratori o di individui mobili, grandi sacche di rifiuti, tossicità e alienazioni distopiche, l’idea della bioregione urbana riaggancia la riflessione sulla città a quella del territorio. Ritornare, dunque, ad una politica locale che sappia restituire più potere a cittadini consapevoli di essere abitanti di un luogo, abitanti di una città. E questo è possibile, a nostro parere, solo se si ricomincia a pensare la città nella struttura simbolica dei luoghi. Solo se, per dirla in breve, riusciamo a ritrovare, in un luogo, una storia, un percorso, una relazione, un’alterità che non sia solo molteplice ma plurale. Allora potremo tornare a parlare di una biopolitica urbana non solo come governo dei viventi, come biopotere, ma come interazioni, scambi, conflitti, prospettive. Visioni che ci facciano venir fuori da un destino a cui sembra ci stiano rassegnando.