Urbanesimo politico
L’Urbanistica, intesa come disciplina, è uno strumento utilizzato dalle amministrazioni per il governo del territorio. Si tratta, dunque, di uno strumento tecnico che occorre alla gestione della complessità delle città. Tuttavia, in quanto strumento, non è né buono né cattivo in sé, ma l’utilizzo di tale strumento può essere buono o cattivo. Esattamente come, per utilizzare l’esempio classico, un coltello non è moralmente posizionato nel bene o nel male, ma è l’utilizzo dello strumento ad essere buono o cattivo, a seconda dei contesti. In altre parole, posso utilizzare un coltello per tagliare i cibi come per uccidere una persona. Lo strumento è indifferente all’utilizzo che ne faccio. Ovviamente, non per tutti gli strumenti funziona allo stesso modo, in quanto ci sono strumenti creati apposta per un utilizzo come le armi, create propriamente per uccidere. Tuttavia non è questo è il nostro caso e ci limiteremo alla riflessione sullo strumento tecnico dell’urbanistica. Ora, guardando più attentamente l’ambito della disciplina, possiamo renderci conto della complessità dello strumento stesso nella gestione del territorio. Infatti, ci sono differenti correnti, differenti approcci, differenti modi di pensare o di amministrare l’urbanistica. In questa riflessione sul come utilizzare lo strumento dell’urbanistica, dunque, vogliamo collocarci. Esaminando la realtà sociale dell’Italia, come anche dell’Europa, ma io azzarderei a dire anche la realtà sociale globale, siamo su un filo del rasoio fra due polarità. Il primo polo è dato dall’individualismo indifferente alla politica e ai processi sociali, mentre il secondo polo è dato da una rinascita del volontariato, da un nuovo interesse civile, da una rinnovata passione politica. Il campo dove si giocano queste polarità non riguarda i grandi processi o i grandi movimenti ideologici, quanto le città. La tensione fra indifferenza e interesse, incrocia una ulteriore tensione ovvero quella fra il globale e il locale. Detto altrimenti, ci sono movimenti che partono dalle città, che rimbalzano sui vari profili social e che divengono esempio e buone pratiche per le altre città, per gli altri quartieri. Un esempio di questo sono tutti i percorsi di rigenerazione urbana che interessano le comunità locali. Le buone pratiche di una città vengono raccontate e riprese dalle altre città, da altre persone che si entusiasmano e che vorrebbero fare qualcosa per il loro quartiere, per la loro città. In questo nuovo contesto sociale, la circolarità fra il locale e il globale, innesca processi virtuosi in cui i cittadini si sentono protagonisti e non demandano o delegano alle istituzioni classiche le scelte politiche. In questa prospettiva, allora, di rinascita circolare si colloca lo strumento dell’urbanistica come gestione dei territori non più demandata solo alle amministrazioni ma frutto di una collaborazione fra le istituzioni e le associazioni locali. Questo nuovo utilizzo dell’urbanistica è ciò che chiamiamo urbanesimo politico, in cui la comunicazione di esperienze di altri territori, la condivisione di vissuti, l’interpretazione dei luoghi, il mettere insieme azioni per la rigenerazione dei propri quartieri, possono attivare processi dal basso che vengano recepiti dagli amministratori locali. In questo contesto di raccordo e di ermeneutica dei luoghi si situa la filosofia urbana, come presa di coscienza, come pensiero politico, come filosofia pratica, in grado di far emergere, dai bisogni, le domande. E migliorare la città in cui tutti, più o meno pensanti, viviamo.