La città delle due e mezza di notte
Qualche tempo fa una mia amica mi ha detto: “Visto che ti occupi di città, perché non scrivi qualcosa sulla città alle due e mezza di notte, quando mi ritiro il sabato sera?”. La proposta non è stata semplicemente una sfida al pensare la città o un principio di dialogo su cosa potesse essere la città e sugli strumenti di sicurezza che la città offre ad ora tarda, ma una vera e propria percezione della città notturna. Questa mia amica, come tante e tanti giovani fanno parte della grande galassia della movida del sabato sera. Niente di moralmente giudicabile come niente di giuridicamente perseguibile in tutto questo, anzi. La testimonianza e la richiesta di questa mia amica mi hanno fatto comprendere che la città notturna acquista un suo fascino per chi la vive e la percepisce. Innanzitutto, bisogna constatare che la percezione della città notturna cambia dalla posizione in cui ci si trova. Più o meno lontani dal centro, più o meno adulti, più o meno cercatori di trasgressioni. A livello simbolico, tuttavia, la città notturna cambia se la si vive all’interno della propria abitazione oppure per la strada. Infatti, per chi vive la città notturna all’interno della propria abitazione, la notte acquista una dimensione di intimità e di libertà sconfinata e unica. Invece, per chi vive la città notturna nelle strade, da chi si ritira a casa ad ora tarda, a chi è costretto a rimanere a vivere fuori per mancanza di alloggio, il tempo della notte è un tempo di risveglio dell’abisso. Intendiamo per abisso tutto ciò che ci abita e che, al tempo stesso, ci fa paura. Per le strade della città notturna, infatti, sembrano aggirarsi e crescere tutte quelle paure che di giorno non abbiamo. Un po’ a causa dell’orario e dei ritmi della città, un po’ per la nostra dimensione inconscia, un po’ per cultura, durante la notte sembrano venir fuori tutti quei mostri di cui aver paura. La città notturna, dunque, sembra risvegliare il lupo di Cappuccetto Rosso, Moby Dick del Capitano Acab, la balena di Pinocchio, insomma tutti quei mostri che emergono dall’oscurità degli abissi. Sono quei simboli del male oscuro che ci hanno sempre consigliato di evitare, di porre un argine, di non frequentare per non finirne braccati, imprigionati, uccisi. La paura di una strada solitaria a notte fonda, soprattutto per i giovani e le giovani che tornano dalla movida, sembra riecheggiare proprio questa dimensione interiore, cultura e sociale. L’attraversare una strada di notte, allora, rievoca, a livello simbolico, la paura dell’abisso, la paura di essere in pericolo e di non avere un aiuto. L’abisso, infatti, è il simbolo di un qualcosa che può mettere in pericolo la mia vita, che può annientare e annichilire il mio essere. E questo vale sia per le ragazze che per i ragazzi che vivono nella movida della città e che si ritirano a notte fonda. La paura di essere in pericolo in quanto sopraffatti dall’altro e dalle mille forme di annichilimento in cui possiamo cadere, dallo stupro al pestaggio. Diverse gradazioni, diversi modi, diverse forme dell’unico pericolo simbolico dell’abisso che può inghiottirci. Anche dentro una strada solitaria, alle due e mezza di notte.