Ex: l’ermeneutica degli edifici
Numerose iniziative culturali e sociali, nella maggior parte delle città che conosciamo, hanno luogo in stabilimenti che, in precedenza, erano destinati ad altro. Ex-macello, ex-fabbrica, ex-distilleria, ex-caserma, l’Italia possiede un patrimonio di architetture da riutilizzare e che sta riutilizzando. Di questo se ne era già accorto Leonardo Benevolo, storico dell’architettura, il quale paragonava questo incameramento di beni industriali da parte dello Stato a quello dell’epoca napoleonica per quanto riguarda i beni della Chiesa. oggi, in Italia, c’è una gran parte del patrimonio che, precedentemente era servito per determinati scopi e che versa in stato di abbandono. Sono edifici utilizzati per le più varie attività: dalle case cantoniere sugli assi autostradali alle fabbriche dismesse, dalle masserie e ville di precedenti potentati a edifici scolastici. Un ricco patrimonio che oggi si ritrova ad essere ex, ovvero ciò che prima era e che adesso non serve più. Tuttavia, ogni edificio che possiamo prendere in considerazione è stato costruito per una sua funzione specifica come possiede anche una sua specifica storia. Entrambi questi cardini che caratterizzano un edificio, anche più del materiale con cui è costruito, non solo offrono la forma alla struttura ma sono espressione di una vera e propria simbolica dell’edificio stesso. Simbolica che, quando un edificio viene abbandonato, viene dimenticata con esso, fino a quando non torna con tutta la sua potenza in quella piccola particella: ex. La simbolica dell’edificio torna con tutta la sua storicità a dare valore ad un luogo ma, al tempo stesso, porta un significato nuovo. Dire di un edificio che è stata un ex-fabbrica, ad esempio, significa dire che in quel luogo venivano prodotti un determinato tipo di manufatti e che quella città ha vissuto la sua economia anche in relazione a ciò che veniva prodotto in quella fabbrica. Dire, quindi, ex-fabbrica, significa non solo ricucire la storia di un edificio con la città ma anche aprire quell’edificio a nuove possibilità, a nuove prospettive. Ed è qui che si nasconde una delle più grandi sfide della nostra città in merito a tutto questo patrimonio abbandonato. La sfida di dare un nuovo significato a ciò che è stato dismesso dalla sua funzione originale, quasi rifondare un edificio aprendolo a nuove attività. Dal momento che, la maggior parte di questi edifici sono considerati di interesse storico se non pezzi di archeologia industriale. Dunque, tornare ad occupare quei luoghi, nonostante la lentezza della burocrazia, significa operare una vera e propria ermeneutica dell’edificio, una nuova interpretazione che non può scollarsi dal territorio come non può rimanere a ciò che è sempre stato. Una ermeneutica che apra le porte alla creatività ma soprattutto che restituisca quell’edificio alla collettività, preparandola e consapevolizzandola delle sue opportunità che, giorno dopo giorno, rischia di perdere e disperdere.