Babele, ovvero l’occasione di essere umani
La grande torre. Questa è la protagonista dell’opere di Bruegel, La Torre di Babele. Sembrerebbe quasi scontato che la protagonista della scena sia la grande torre che gli uomini volevano costruire per raggiungere il cielo. Tuttavia, scontato non è. Perché la storia della Torre di Babele, narrata in Genesi, è una storia fatta di uomini che hanno una sola lingua e che, in seguito, si disperdono per tutto il mondo, nella diversità delle lingue. Non sappiamo nulla della torre, tranne che fosse costruita con mattoni cotti a forno. Non viene detto altro. perché il vero protagonista dell’episodio della Torre di Babele è l’essere umano nella sua relazione essenziale con Dio. Non è la costruzione di per sé, come non è neanche la punizione di empietà che Dio dà a noi uomini e donne, come se fosse uno dei tanti dèi dell’antichità. Dio non è colui che punisce gli uomini e le donne, neanche quando tentano di arrivare fino al cielo, neanche quando tentano di penetrare con la forza nel suo mistero. Ma per comprendere davvero il senso della Torre di Babele dipinta dall’immaginazione di Bruegel dovremmo avvicinarci molto all’opera. Infatti, ciò che noi vediamo è la grande torre che campeggia sulla scena, che occupa quasi tutto lo spazio, fino a darci una sensazione di soffocamento. Ma se ci avviciniamo all’opera possiamo vedere tanti piccoli omini all’interno della Torre, tanti piccoli corpicini bianchi, tipici dell’opera di Bruegel. Tanti piccoli omini intenti a lavorare, a portare su carriole, messi dinanzi alle carrucole, che si perdono nelle arcate della Torre. Un grande formichiere di persone che facciamo fatica a riconoscere. Allora, Bruegel non dipinge l’episodio della punizione divina, come non pensa semplicemente ad una dispersione di persone. Ciò che davvero interessa a Bruegel è l’inferno che Babele crea. L’inferno di una tecnica che non è più a servizio dell’essere umano ma che lo sovrasta, lo nasconde, lo rende infinitesimale. Una tecnica che non facilita l’essere umano ma che lo conduce alla perdizione, alla sparizione all’interno di ciò che egli stesso ha costruito. Questo è il vero dramma di Babele, questa è l’occasione che Dio ridona agli esseri umani, ovvero quella di tornare a parlarsi, di riconoscersi uomini e donne diversi. Dinanzi ad una tecnica che li schiaccia, ecco che la pluralità delle lingue è un dono, che la diversità è una via di soluzione. Una via aperta sempre al rischio della conflittualità, ma sempre e comunque una via che inverte l’alienazione, una via che offre una possibilità in più, rispetto all’appiattimento. Una via, insomma, che resiste all’alienazione.
Tema sempre attuale. Noi piccoli esseri imperfetti persi totalmente nelle cose che l’uomo ha creato (es. Il mal utilizzo della tecnologia). Sempre poco aperti al dialogo con il prossimo, poco attenti alle necessità del prossimo, distratti dai pensieri futili. Iniziare a dialogare in famiglia con i figli e soprattutto tra marito e moglie potrebbe essere l’inversione alla tendenza all’appiattimento, iniziare a parlare la lingua della calma, della fede e soprattutto dialogare con tanta sincerità.
Bellissimo grazie