Degrado e consumo
Sussiste una relazione stretta fra i figli del boom economico e le condizioni di degrado che viviamo oggi? Non solo in termini di degrado urbano, ma anche di degrado civile e politico. figli che non riescono ad occuparsi neanche dei genitori, cresciuti nel benessere economico ma che non riescono a prendersi cura neanche dei loro stessi famigliari. Esiste una relazione fra benessere economico e degrado? Per provare a pensare una relazione fra questi due elementi ci occorre stabilire quali siano i termini di paragone. Infatti parlare semplicemente di benessere e di degrado come termini astratti non ci permette di cogliere il paragone fra i due come neanche la loro diretta proporzionalità. Proviamo, allora, a comprendere cosa intendiamo per benessere economico, figlio del boom degli anni Ottanta. Sotto questa terminologia c’è un processo che porta ad una crescita estremamente rapida delle città sia in termini di costruito sia in termini di beni economici disponibili. Famiglie che si arricchiscono e che offrono ai figli tutte le possibilità che non hanno potuto avere loro. Persone che, ora anziane, vedono i loro figli spaesati dinanzi alle ripetute crisi economiche, all’ingresso nel mercato globale, alle forti spinte dei mercati stranieri. Una crescita economica repentina a cui non è corrisposta una crescita culturale, sociale e politica, portando ad una deformazione non solo dell’ambiente sociale ma anche dell’urbanistica e delle famiglie. Dal punto di vista urbanistico abbiamo una crescita sproporzionata di case, villette, condomini, frutto di varianti ai Piani Regolatori che hanno portato a chiusure di spazi, case basse, senza una sufficiente illuminazione in quanto poco distanti le une dalle altre. Una tipologia edilizia che ritroviamo verso gli anni ’80 e che non è frutto solo di piani urbanistici ma di interessi privati e di varianti che hanno conseguenze dal punto di vista urbano e umano. se volessimo trovare un primo legame è la cecità. Palazzi con facciate cieche, nati da provvedimenti e decreti ciechi, per persone costrette a vivere una attaccata all’altra senza legami, senza collante ma solo grazie all’insensibilità del cemento armato. Case che si susseguono a casa, condomini a condomini, che grazie al calo demografico e alle nuove costruzioni in periferia diventano sempre più vuote. Case in cui si consuma la vita delle persone, un tempo entusiaste delle sicurezze di vita. Suolo consumato, vite consumate dentro una città che continua ad accelerare i suoi ritmi di costruzione e che, in realtà, non vede nessun futuro e nessun miglioramento dinanzi a sé. Consumo urbano di risorse e di ambiente che riflette un consumo umano. Ma un consumo umano e urbano che comporta un lento degrado, un deterioramento delle condizioni d vita, un lento e inesorabile logoramento. Come nel film The Substance di Coralie Fargeat, in cui la giovane Sue per poter vivere un giorno in più è costretta a prelevare tramite punture, liquido vitale alla più anziana Elisabeth, fino a ridurla ad una larva umana. Il problema è che Sue ed Elisabeth sono la stessa persona e una succhia all’altra liquido vitale pur di vivere un giorno in più. Fino a quando entrambe degradano, sfioriscono e si deformano per lasciare spazio a mostruosità quotidiane spacciate e credute bellezze, fino ad esplodere della loro stesso fama. Questo è il consumismo che produce degrado sia nelle nostre città sia nelle case che continuiamo ad attraversare e ad ascoltare. Consumismo che consuma, boom economico ed esplosione famigliare, tutto intessuto insieme in pratiche politiche miopi dinanzi alle storie delle persone. A questo punto, la sola speranza che rimane è la politica, l’impegno politico di tutti e ciascuno.
Per quanto riguarda il consumismo urbanistico, il momento di svolta si ha quando la casa , nella cultura condivisa, cessa di essere una necessità funzionale al proprio vivere e diventa un bene economico che può produrre profitto. Il valore di mercato prevale sul valore d’uso. La casa o le cade diventano una cripto valuta che misura la ricchezza di chi le possiede.
La tanto decantata “sostenibilita’” sara una vuota ipocrisia se continueremo a valutarla solo in termini di consumi energetici.
Sono sostenibili solo e soltanti gli interventi assolutamente necessari a soddisfare bisogni fondamentali.
La forma più’ alta di sostenibilità e il “non fare”.
Se noi occidentali avremo l’intelligenza di ritrovare il discernimento critico del valore della necessita’ ci libereremo dalla schiavitù delle nostre vite (compreso la mia) spese assurde inseguire il solo produrre economico.
Buongiorno, se ci concentriamo nella mappatura dei sintomi di una malattia e nella ricerca delle possibili cure, ebbene, dopo aver curato questi sintomi , la malattia si manifesterà con nuovi sintomi, e così via……. guardando dal basso della mia limitata visione della nostra società, mi permetto di affermare: “la malattia ” risiede nella cultura “dell’ IO Devo essere felice” inteso non nella felicità interiore che ci è stata indicata dai tanti saggi che ci hanno lasciato traccia del loro pensiero. Da quando l’ uomo ha cominciato a pensare ed a comunicare il proprio pensiero. La “malattia ” risiede in un concetto di Felicità intesa in stile statunitense, che porta ad affermare se stessi arraffando tutte le opportunità che la vita ti può offrire, a saziare una bulimia da consumi alimentata da bisogni auto generati dall’ assenza di conoscenza. Ma conoscenza di chi, di cosa? Ma di chi ha dedicato la propria vita alla ricerca di un significato della propria esistenza, o di chi (per i credenti) è stato illuminato dal divino. Io che guardo alla natura, ritengo che l’ uomo abbia perso il senso della misura e dell’ appartenenza ad un tutt’uno nel momento stesso in cui ha pensato di dominarla e di possederla. Non mi dilungo oltre, la strada per arrivare a una possibile cura dei malesseri montanti del nostro affollato pianeta è lastricata o dall’amore verso gli altri compresi gli altri esseri animati e inanimati e/o da una continua ricerca razionale arricchita dal contributo dei grandi pensatori, che hanno testimoniato con la propria vita la forza delle idee.
Fino a quando relegheremo le politiche culturali alla dimensione dell’intrattenimento con il rischio di farle percepire come una spesa superflua, non potremo comprenderne a fondo il ruolo e nemmeno identificarne le modalità operative. Una visione miope influenza profondamente il loro posizionamento, mentre molte delle sfide sociali più urgenti andrebbero reinterpretate in una chiave ‘culturale’. Questo vale per il lavoro, la sicurezza, la sostenibilità ambientale, il multiculturalismo, la coesione sociale, la salute e naturalmente le scelte edili pubbliche e private. Se da una Città che Consuma non passeremo a una Città che Impara sarà difficile non restare incagliati nel circolo vizioso.