La Parola, il Corpo e la Carne: la somiglianza a Cristo
Caro Pavel, uno dei brani più densi della Scrittura è senza dubbio il Prologo dell’Evangelo secondo Giovanni. Uno dei brani più densi dal momento che ritroviamo in esso una tensione enorme fra il linguaggio ebraico e quello greco, una tensione che solo in Gesù viene tenuta insieme e superata. Infatti, è la prima volta che nella Scrittura si parla di archè, del principio. E quando Giovanni scrive archè, porta dentro di sé e nella riflessione su Gesù, non solo il mondo ebraico della Genesi, ma anche tutta la filosofia greca che aveva incentrato la sapienza sull’archè. Giovanni, dunque, vuole dirci che quel Gesù è in principio ma anche al principio, che quell’uomo che si chiamava Gesù e che è stato un grande maestro, un grande uomo, un rivoluzionario è il Figlio di Dio. Ti risparmio tutta l’elaborazione che la teologia ha fatto di questo grande mistero, per porre la mia e la tua attenzione su una dinamica presente nel Prologo. Leggiamo, infatti, che in principio era la Parola, che la Parola era presso Dio, che la Parola era Dio (Gv 1,1). Ciò che è nel principio è la Parola, ciò che è prima di ogni altra cosa in Dio è la Parola, attraverso cui Dio stesso ha creato tutte le cose. Ciò che i greci chiamavano Logos e gli ebrei Dabar, non sono però le nostre parole, ma la Parola, ciò attraverso cui Dio crea. Da qui possiamo comprendere che Dio si serve di uno strumento per creare, di una mediazione, ma che questa mediazione non è qualcosa di creato altrimenti sarebbe già l’opera della creazione. Per questo, la mediazione che utilizza Dio è Dio stesso, è ciò che rivela una relazione all’interno di Dio stesso. Già nella creazione ritroviamo la comunione divina della Trinità, come ci ricordano già i teologi dei primi secoli. Ma ciò che ancor più di meraviglia è che questa Parola è creatrice, è vita e dona vita. E la Parola non crea solo la sostanza di tutte le cose, ma crea anche un corpo, una integrità. Dove l’integrità della Parola è già essa stessa corpo. La Parola, in sé, è già un corpo, prende già un corpo che non è ancora la carne. Il corpo, dunque, indica una dimensione comunionale delle relazioni con se stessi e con gli altri. Una comunione che diviene carne dal momento che la Parola stessa diviene carne (Gv 1,14). L’incarnazione, dunque, non è semplicemente un Dio che prende le sembianze dell’uomo, ma è il dare carne alla corporeità umana, permettere al corpo dell’uomo, di riscoprire la sua concretezza di carne. E, inoltre, permette all’uomo di carne di riscoprire il suo essere corpo nella Parola. La Parola è già corpo, perché è già comunione, tensione fra il divino e l’umano, fra il Creatore e la creazione. E il corpo prende carne, affinché nella nostra carnalità potessimo riscoprire la nostra stessa corporeità. In altre parole, la nostra carne acquista senso e spessore in quanto diviene corpo, ed è nella carne del Figlio Parola che riscopriamo la nostra carnalità come immagine di Dio stesso facendola divenire corpo somigliante al suo stesso Corpo Risorto.