Non farti cadere le braccia

Non farti cadere le braccia

14 Dicembre 2024 1 di Makovec

Sof 3,14-17; Is 12,2-6; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18

Nel 1973, Edoardo Bennato pubblica uno dei suoi primi album dal titolo Non farti cadere le braccia, titolo anche della seconda canzone dell’album. Una canzone che racconta il suo percorso di vita e il suo passaggio dagli studi in architettura alla carriera di cantautore. È il momento decisivo della sua vita, in cui lascia ciò che sembrava stargli troppo stretto per intraprendere una strada nuova ma altrettanto difficile e precaria come quella del cantante e strumentista. Allora, Non farti cadere le braccia diviene un canto a metà fra il desiderio di liberazione, il ricordo delle origini, il percorrere una strada nuova. Non farti cadere le braccia, espressione che ritroviamo anche nel profeta Sofonia della liturgia della Parola di oggi. Lo stesso grido di gioia che annuncia un passaggio e che ci ricorda che tutti i passaggi della nostra vita sono faticosi. Non è un cambiare, non è solo un fare altro rispetto a prima, ma un passaggio che comporta fatica e sofferenza, come anche gioia per tutto quello che di nuovo troviamo. La conversione nasce e si sviluppa proprio quando tutto quello che facevamo ci sembra vecchio e decrepito, come pelle morta che ci rimane ancora addosso, mentre tutto quello di cui facciamo esperienza è novità e bellezza. Non lasciarti cadere le braccia, allora, diviene inno di coraggio nel cambiare vita, nel voler cambiare strada, nel guardare che intorno a noi è ancora possibile un cambiamento su cui lavorare e faticare. Non solo un cambiamento individuale che non porta quasi mai a nulla, ma un cambiamento personale e comunitario, collettivo e politico. per cambiare, per effettuare passaggi di vita che siano anche passaggi di fede, occorre lavorare e faticare, occorre spendersi, avere il coraggio di una posta in gioco che vale più di tutte le lamentele e i rancori che ci portiamo dentro e che ci condannano alla pesantezza. Il Signore che viene è un Signore che trasforma anche il nostro credere e che, nel credere, trasforma anche l’esistenza. Ma per fare questo c’è bisogno di coraggio, di un grido che ci riporti alle origini, ad una voce antica che poniamo come nostro fondamento. Non esiste un passaggio, un cambiamento, una trasformazione che non invochi determinazione da parte nostra, che non ci interpelli in prima persona, che non ci metta dentro un canto di gioia e di lode che indica il fondamento su cui poggiamo la nostra vita. Solo ascoltando quel canto interiore, quel ruscello che sgorga dentro di noi possiamo attuare un cambiamento. Non bastano le motivazioni o le buone intenzioni, ma occorre essere pervasi dallo Spirito, allenamento e ritmo, sinfonia e caparbietà, perché ogni cambiamento è un’arte. Come ci ricorda il Salmo è possibile cambiare solo quando ascoltiamo un canto che ci abita dentro, quando facciamo della nostra vita un canto, una forma d’arte che è equilibrio, allenamento, determinazione, prova e riprova, senza lasciarsi cadere le braccia. È in quest’arte che diventiamo amabili. Perché l’amabilità è un’arte che si impara nei giorni. Desideriamo essere amati, vorremmo essere amanti, ma essere amabili è un’arte in cui le persone gustano veramente e interiormente chi siamo e come siamo. Non sono i moralismi che ci aiutano o persone che ci dicano che cosa fare nella vita che ci permettono di ascoltare lo Spirito, al massimo sono persone a cui deleghiamo la nostra responsabilità. Come ci ricorda Paolo stesso, l’amabilità è strettamente legata al Signore che viene, ad un Signore che viene nella carne, che verrà alla fine dei tempi e che viene nei giorni quotidiani, nei giorni che trascorrono in questo mondo. Non è un dovere o uno sforzo morale, ma un’arte che apre l’orizzonte all’oltre, che ci imbeve della vertigine dell’oltre e dell’altrove. Ma trasformare la vita nel Signore che viene è un’arte di amabilità che ci permette di risplendere e di annunciare la venuta del Salvatore. Un’arte che anche Giovanni Battista ha imparato, fino alla fine della sua vita. Dalle accuse e dalle minacce che costellavano la sua idea del Salvatore si è trovato dinanzi ad un Dio che si è fatto battezzare da lui, a quel Gesù su cui è disceso lo Spirito. Per questo, non possiamo pensare solo che Giovanni sia colui che dispensa dottrine o cose da fare alle persone, come se tutti seguissero un suo programma, o come se Giovanni distribuisse ricette per la salvezza. Il contenuto del messaggio del Battista non riguarda pie pratiche o devozioni che si moltiplicano ma un’arte di amabilità che si rivela nel condividere la tunica, nel non spadroneggiare sulle persone, nel saper guardare a ciò che si ha senza impossessarsi di altre cose che non ci appartengono. Cose ben diverse dalle tante pratiche e novene che chiediamo di fare alle persone per ottenere la salvezza. Invece, ciò che ci predispone a ricevere lo Spirito Santo e il fuoco del Cristo che viene è in un’arte di amabilità dinanzi a cui si dipana un fondamento nuovo, che non fa cadere le braccia ma le usa per modellare se.