Abitare, trasformare, crescere
Ger 33,14-16; Sal 24; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36
Nei giorni passati ho avuto il piacere di collaborare al sussidio di Catechesi con l’arte dell’Istituto Pastorale Pugliese, in cui abbiamo provato a meditare sulle domeniche di Avvento, fino al Natale, attraverso l’arte. E la prima domenica di Avvento, con cui apriamo il nuovo anno liturgico ci presenta la celebre Stanza di Arles di Vincent van Gogh. Un’opera conosciuta non solo perché appartiene ad uno dei più famosi pittori della storia, ma anche perché, come descritto nella spiegazione dell’opera, sembra essere un autoritratto simbolico del pittore stesso, un desiderio di stabilità nel mondo, abitando uno spazio. Si tratta, infatti, di un’opera che il pittore ci mette dinanzi non come pura descrizione di uno spazio, ma come sua percezione e trasformazione dello spazio stesso. Perché, in fin dei conti, questo significa abitare il mondo, abitare la realtà. Ed anche quando l’abitare ci sembra in contrasto con quello che dice il Vangelo di questa domenica, in realtà, si tratta esattamente di un abitare che si parla. Abitare, infatti, significa vegliare, essere coscienti del luogo e dello spazio in cui ci si trova, essere presenti a se stessi. Esercitare quella fatica, ma anche quel coraggio, di guardare in faccia alla realtà con tutti gli sconvolgimenti che si sono e che vi troviamo. E si può abitare il mondo, su può abitare i contesti in cui viviamo solo e soltanto attraverso la realizzazione della promessa di Dio. Promessa profetizzata da Geremia quando afferma che il Signore fa germogliare per il suo popolo qualcosa di nuovo, che è egli stesso. Promessa di bene e di giustizia, non solo per i tempi che verranno o per un incerto spazio, ma qui, oggi, intorno e dentro di noi, nella misura in cui sappiamo abitare il mondo. L’Avvento ci ricorda che il Signore verrà, ma anche che il Signore è già venuto nella carne e che viene, giorno dopo giorno, nello Spirito. Realizzare, infatti, ha a che vedere con qualcosa che diviene realtà, che assume la forma del reale e che è possibile scorgere solo nello Spirito, in quella energia divina che crea e trasforma la realtà. Quello stesso Spirito che è amore, non solo come benevolenza nei confronti degli altri, ma come occasione e opportunità per crescere vicendevolmente. Amare e sovrabbondare nell’amore fra noi e verso tutti, anche verso coloro che non ci sopportano o che non riusciamo proprio a sopportare, significa avere il coraggio di crescere, comprendere che abbiamo bisogno ancora di crescere nel cammino della libertà. Realizzazione nell’amore, dunque, significa crescere in un cammino di liberazione. Quella stessa liberazione che Gesù è venuto a portare in mezzo a noi, quella stessa liberazione che ci fa andare con il capo levato ed elevato dinanzi alle guerre, ai cambiamenti climatici, alle violenze. Un capo levato perché in attesa della liberazione e pronto a lavorare per la liberazione personale e comunitaria, perché non c’è liberazione personale senza l’aiuto di tutti, senza la comunità. Libertà che significa abitare noi stessi, abitare chi siamo, abitare la nostra unicità senza sederci, senza lasciare in disordine la nostra stanza interiore, senza pensare che ci sia una differenza fra l’interiorità e l’esteriorità, ma come viviamo il mondo interiore così ne viviamo l’esteriore e viceversa. Ecco, allora, perché vegliare significa abitare, vegliare significa allenarsi a mantenere la stanza che siamo secondo la nostra somiglianza, nel nostro autoritratto simbolico come la stanza di Arles di van Gogh. Per non rischiare che, nel soqquadro generale, perdiamo anche noi stessi. Vegliare, allora, prima di tutti su di sé, rimettere in ordine la stanza che siamo, in modo da entrare nella realtà da persona che trasformano la storia, il mondo, i contesti non solo facendo delle cose o stressandosi per chissà quale motivo, ma amando e, nell’amore, crescendo. Così da imparare quella via del Signore in cui, come abbiamo pregato nel Salmo, continuiamo a confidare.