Effatà
Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37
Uno dei tocchi artistici più delicati e più espressivi dell’avanguardia russa ci viene donato dal pittore Michail Nesterov. In modo particolare, per raccontare la liturgia della Parola di quest’oggi, vorremmo prendere in considerazione il suo quadro La santa Russia del 1905. Si tratta di un’opera composta durante i primi moti rivoluzionari in Russia che poi sfoceranno nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Eppure, nel dipinto, non ritroviamo nessun moto di rabbia, di angoscia, né battaglie e fucili, ma un Cristo posto a due terzi del dipinto e insieme a lui una folla di santi, poveri, pellegrini, donne, zoppi e ciechi. Motivo che Nesterov riprenderà anche in altre sue opere come Rus: l’anima del popolo del 1916. Intorno alla figura del Cristo o del santo c’è sempre una moltitudine non di combattenti o di persone abili a chissà cosa, ma una folla di mendicanti, di folli, di zoppi, di anziani, di persone che, agli occhi del mondo, non valgono nulla. Sono quelle persone che ritornano costantemente e silenziosamente nella liturgia di oggi. Sono persone che non hanno parola ma che sono nella Parola di Dio. Sono quelle persone a cui la Parola dà voce, sono quelle persone che abbiamo visto cacciate e scacciate anche nei preparativi per le Olimpiadi di Parigi e che non sappiamo che fine abbiano fatto. Sono sempre quelle persone che subiscono, che non riescono mai a dire la loro e per quelle volte che altri hanno utilizzato la loro voce per dire qualcosa, ecco che ne hanno preso il potere e sono diventati i nuovi padroni delle masse. Sono i poveri, disabili, disfunzionali, scartati. Sono quelle persone che, nella Parola, diventano il segno della presenza di Dio, indicazione per gli smarriti di cuore. Isaia li indica come i segni della presenza di Dio, il luogo rivelativo e salvifico di Dio. E anche noi, oggi, quando ci sentiamo smarriti, quando non sappiamo neanche che senso dare alla nostra vita, ci accorgiamo che mettendoci dalla parte dei poveri, servendoli, avendo cura degli scartati della terra, possiamo ritrovare anche il senso di questa vita. Sono quelle persone che ci rendono immuni da favoritismi personali, che non ci fanno inchinare a persone di potere, che ci aprono alla possibilità di una libertà che non guarda all’accumulo di potere o di capitale ma alle persone. Una libertà autentica in quanto consapevole di avere già tutto nel non aver nulla da perdere. Una libertà dinanzi a cui Giacomo ci invita a fare i conti con la realtà, ponendoci l’esempio del ricco e del povero. Un esempio calzante e valido ancora oggi. Una libertà che è salvezza, che invoca salvezza, che apre. L’effatà di Gesù, che tutti noi abbiamo ricevuto nel battesimo è quell’incoraggiamento a guardare la presenza del Signore lì dove siamo, per come siamo, dove egli ci chiama. Ecco l’intuizione di Nesterov di porre un Gesù nel paesaggio russo, nell’incanto di un paesaggio simbolico che richiama la vera rivoluzione che è Cristo. In un’epoca di disordini, in un’epoca di prestazioni, di ansie e di perdita di senso, poter riascoltare l’Effatà, l’apriti che in quello stesso momento ti fa attendo al mondo, ti incoraggia a vivere in questo mondo, ti fa accorgere che il sordo sei tu, è l’esperienza redentrice e liberatrice, esperienza salvifica. Perché in questi processi sociali, e anche politici se vogliamo, possiamo ritrovare e rintracciare la presenza di Dio, di un Dio che fa dei poveri il segno della sua salvezza, dei cammini di liberazione degli altri anche il nostro ritrovare senso alla vita. Perché Il Signore rimane fedele per sempre rende giustizia agli oppressi.