Un pane liberante
Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35
Qualche mese fa ero a scambiare due chiacchiere con un ex-contrabbandiere della zona. Fra le tante domande che gli ho posto, ad un certo punto ho chiesto anche il perché del suo lavoro, poi evoluto in altre professioni. Nel nostro territorio fino ad una ventina di anni fa il lavoro non mancava e quindi tutti avrebbero potuto vivere una vita dignitosa, allora perché mettersi a rubare? E lui mi ha risposto, oltre che per il guadagno facile, citandomi il film Il camorrista su Raffaele Cutolo, fondatore della Nuova Camorra Organizzata, una delle mafie più pericolose e sanguinarie del Meridione. Raffaele Cutolo affermava, nel film ma anche nella vita vera, di essere un benefattore in quanto dava lavoro alle persone, un sostegno per coloro che finivano in carcere, trovava occupazione per i disoccupati e così via. Insomma, Cutolo era un potente e una persona rispettabile perché dava il pane da mangiare, permetteva a molte famiglie di portare il pane da mangiare. Ed è questa, ancora oggi, la grande forza della mafia e delle mafie che devastano il nostro territorio: il potere di dare il pane. Un potere che rende schiavi, un potere che, come per il popolo di Israele, fa rimpiangere persino la schiavitù. Quando il popolo mormora contro Mosè e contro Aronne afferma una cosa che fa paura. Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine. Era meglio morire con il ventre sazio ma in una condizione di schiavitù, quando la loro vita era considerata nulla, quando il loro valore era meno di niente per il folto numero. Era meglio morire da schiavi che morire in un deserto, senza contare che quel deserto è il cammino faticoso e impervio della libertà. Il popolo di Israele rimpiange chi aveva il potere e li saziava, meglio che morire nel deserto. Una condizione spaventosa a cui il Signore risponde offrendo la manna dal cielo. Non offre solo il pane, ma offre anche una condizione, uno stile con cui condividerlo, un modo per mangiare che è costruire la comunità. Non solo si saziano, ma permettono anche alle altre persone di prendere da mangiare. In questo il Signore si discosta profondamente dalla relazione fra pane e potere, fra chi ti dà il pane e, al tempo stesso, ti riduce in schiavitù, come era l’Egitto per Israele, come la mafia ancora oggi. Il Signore che da il pane dal cielo significa mettere in moto un processo di liberazione, un modo per essere liberi e non tornare prigionieri delle cose passate, non rimanere schiavi. Significa mangiare insieme e, mangiando, costruire una comunità, costruire relazioni che liberano, rivestire l’uomo nuovo direbbe Paolo. Rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Un uomo nuovo che significa essere profondamente liberi perché tutto non proviene dalle mani di altri esseri umani che creano gerarchie e poteri ma da Dio. E noi riconosciamo che ciò che ci nutre proviene da Dio perché Gesù si è comportato da liberatore. Quando volevano venire a prenderlo per farlo re si era allontanato da quella clamorosa tentazione. Ora, invece, continua a scappare e quasi a nascondersi dinanzi a quelle persone che lo inseguono perché si sono sfamate del pane che aveva spezzato. Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». E se in qualche passaggio prima Giovanni ci aveva detto che la condivisione del pane era stato un segno, Gesù rincara la dose affermando che loro si erano semplicemente saziati e non avevano visto nessun segno. Perché il segno non è nella ricerca di qualcuno a cui piegarsi per ricevere un pezzo di pane, non è nel clientelismo o nei rapporti di potere, ma nel costruire una comunità in cui tutti abbiano di che mangiare, in cui tutti possano gustare il pane vivo, possano gustare Gesù Cristo. Ecco, allora, perché abbiamo ripetuto al Salmo: donaci, Signore, un pane dal cielo. Perché è quel pane che non solo toglie la fame ma ci insegna anche come essere mangiato, come costruire comunità e in esse ritrovare la nostra libertà.