Scavare e scovare bellezza
Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
Una delle più belle e audaci intuizioni del filosofo russo Pavel Florenskij è quella del cuore cherubico dell’essere umano. Secondo Florenskij, infatti, se scaviamo dentro di noi, oltre la spessa coltre di peccati e di tenebra, oltre tutte le mediocrità e le invidie, i rancori e le maldicenze che possiamo pensare o provare, oltre tutta la solitudine e il male che ci attraversa, ritroviamo un cuore cherubico, l’immagine divina, una scintilla di luce eterna, di splendore e di bellezza che racconta di Dio. Una bellezza che è dentro di noi, una bellezza nascosta, una bellezza per cui bisogna scavare dentro di noi e scovare nelle altre persone. Quella stessa bellezza che risulta essere sempre più difficile da incontrare nelle nostre società iper individualiste, sovraesposte, sempre alla ricerca di consensi. Scavare e scovare bellezza, questo è il compito che la liturgia di oggi ci affida. Scavare e scovare quel cuore cherubico presente in tutte le persone, presente nel più intimo e profondo di noi, coperto da una spessa coltre di perbenismo e di morte. Quel cuore cherubico che rintracciamo nel libro della Sapienza: per cui Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Dio non ha creato la morte e non gode della nostra rovina, ma dentro ognuno di noi ha posto il seme della sua eternità, quella luce senza tramonto che ci fa essere portatrici di salvezza. È curioso, infatti, che l’autore del libro della Sapienza affermi che sono le creature ad essere portatrici di salvezza. Non è Dio ad offrire la salvezza, ma il rintracciare la sua luce nelle creature che ci permette di essere salvati. Non ci salviamo da soli, non siamo noi a salvare gli altri, ma quanto riusciamo a scavare e scovare quella bellezza dentro di noi e nelle altre persone, tanto più riusciamo a conoscere e riconoscere la salvezza di Dio. Per questo motivo, anche Paolo afferma che noi siamo diventati ricchi per mezzo della povertà di Gesù, il quale da ricco che era si è fatto povero per noi. E si è fatto povero per noi affinché noi potessimo diventare ricchi di lui e, al tempo stesso, spogliarci da ogni ricchezza per offrirla ai nostri fratelli e sorelle. Dove lo spogliarci da ogni ricchezza non equivale ad un abbrutimento di noi o ad uno stress da burn out per servire le altre persone. Si tratta di offrire alle altre persone uno sguardo differente sulla loro vita, aiutarle a scavare e scovare dentro di loro e nelle altre persone il cuore cherubico, il frammento di bellezza che il Signore ha posto dentro di noi. È attraverso questo sguardo che riconosciamo come Gesù stesso nel Vangelo ha aiutato queste due donne. Non è il fattore miracolo che ci interessa primariamente. Ciò che ci colpisce è che il Signore ha guardato l’emorroissa e non ha visto una donna impura, ma una donna che cercava di toccarlo, che cercava salvezza. Uno sguardo differente che ha permesso a Gesù stesso di prendersi cura di quella donna anche inconsapevolmente, anche in mezzo a tanta folla che lo toccava. Quello stesso sguardo che ha fatto vedere la vita in quella piccola che tutti davano per spacciata, che tutti vedevano già morta. Lì dove tutti hanno visto la morte di quella bambina, Gesù ha visto un sonno da cui svegliarla, nonostante tutti lo deridevano. Nonostante la mancanza di fede, nonostante la mediocrità e la resa di tante persone, nonostante il fatalismo, l’ormai che costella la nostra storia e la nostra epoca, Gesù ha dato nuova vita, resurrezione. Non ha fatto finta di niente nei confronti dell’inferno e dell’abisso oscuro in che ciascuno di noi rischia di cadere e su cui vacilliamo, ma da quell’inferno ci ha tirati fuori, da quell’inferno ci ha fatti risorgere, da quell’inferno ci ha liberati ed è per questo che possiamo ancora pregare: Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.