Al porto sospirato
Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41
È notizia di questi giorni di nuovi sbarchi e di nuovi naufragi al largo delle coste mediterranee italiane. Un nuovo naufragio ma anche una motovedetta libica che ha intercettato una nave con a bordo dei migranti strappati dalle onde. La guardia costiera libica sale sulla barca che ha messo in salvo delle persone dalla furia del male e ha iniziato a picchiarle con un bastone. Il video è stato riportato dalle maggiori agenzie di comunicazione italiane in cui si vede chiaramente che, dopo la fatica del mare e la furia della tempesta, a queste persone viene riservata solo la detenzione e il bastonamento, il tutto con l’ausilio finanziario dell’Italia. Ed ancora oggi, allora, si continua a ripetere questa violenza fra la tempesta e la violenza, tracce che ritroviamo anche all’interno della Liturgia di oggi. Una traccia è quella che ci viene offerta dalla tempesta e dai fragori del mare, eppure dinanzi a questa tempesta, ecco che c’è una Parola che crea, che ri-crea, che mette in luce il mistero della sofferenza e del male e ci aiuta a rimettere bellezza nella vita. La Parola di Dio si manifesta in questo modo, come Parola che ci salva dalla tempesta, che ci salva dallo scoraggiamento, che è il contrario delle bastonate e delle tante parole di odio che suonano come bastonate a noi e alle altre persone. Una Parola buona che non è fatta solo di vocali o di voce ma anche di gesti, di domanda e di affetto. La Parola di Dio è una Parola che rimette in movimento, che restituisce l’essere umano alla sua creaturalità, alla sua libertà, che ci spoglia da ogni ansia e paura, di ogni rabbia e rancore. È quella Parola che Giobbe sente pronunciare dal turbine, quella Parola che dice l’opera di Dio, che mette un argine all’orgoglio del mare, che crea il mondo, che rimette armonia e bellezza, che ci fa raggiungere un equilibrio osmotico fra noi e ciò che ci circonda. Una Parola bella, una Parola gentile, una Parola che abbraccia e che lascia intravedere una nuova luce dinanzi alla disperazione e alla paura. È quella Parola incarnata in Cristo Gesù che rivela la sua potenza sul fragore del mare e sul vento in tempesta. Una Parola che nasce dal grido dei suoi discepoli, dal grido di non ti importa che siamo perduti? Un grido che possiamo ascoltare ancora oggi, immersi nelle tante vicende della storia e soprattutto dinanzi al Mediterraneo diventano un cimitero assurdo. In Crocevia Mediterraneo, uno dei ricercatori a bordo della nave Tanimar giunto a Lampedusa, interroga il custode del cimitero il quale afferma che suo ogni migrante morto ci mette una croce sopra, non some sfregio o insulto alla sua religione ma come affratellamento, come forma di rispetto, come capacità di pregare insieme, di chiedere insieme a Dio una Parola che ci aiuti a fuggire via dell’assurdità dell’esistenza. Una Parola che ci possa dire Taci, calmati!, che possa donarci una tranquillità interiore dopo le tante tempeste che viviamo. Una Parola che metta silenzio! Una Parola che, come ci ricorda Paolo, ci renda nuove creature, ci trasformi in amore, che ci faccia vivere una metamorfosi esistenziale tanto da esclamare: Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Non solo nella nostra intimità, ma nel guardare anche la realtà in maniera nuova, in maniera differente, sotto una Parola che ci ri-crea, che ci fa silenzio dentro, che ci riporti, come ricorda il Salmo, al porto sospirato.