Crescere: adattarsi, ambientarsi, abituarsi
Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34
In questa domenica siamo circondati da alberi! Dal profeta Ezechiele fino a Gesù, la liturgia della Parola ci rimanda alla metafora dell’albero come preparazione del Regno di Dio. il profeta Ezechiele parla del cedro, di un piccolo rametto di cedro che viene posizionato sul monte alto di Israele, mentre Gesù parla del seme gettato dal seminatore che cresce in maniera spontanea, come anche del granello di senape che una volta seminato diventa il più grande di tutti gli altri alberi. E tutti gli alberi citati sia da Ezechiele sia da Gesù nel Vangelo hanno tutti questa caratteristica: crescono. Crescendo, poi, danno alimento e protezione ad altre specie viventi, ad altre creature. Ma la bellezza di questa immagine è che ancora oggi gli alberi ci sono maestri, sia di vita spirituale che di cittadinanza. L’ultimo lavoro di Stefano Mancuso, Fitopolis, la città vivente, ci ricorda esattamente questa importanza degli alberi, la via degli alberi da cui abbiamo ancora da imparare nel nostro cammino terreno come ci ricorda Paolo. Proviamo a tracciare, allora, delle indicazioni che ci offre la Parola di Dio di questa domenica insieme alle considerazioni di Stefano Mancuso sugli alberi e la città. per prima cosa, come abbiamo già detto, gli alberi crescono. E crescono non solo ingrandendosi ma attraverso una capacità modulare, di adattamento. Gli alberi crescono perché si adattano ai cambiamenti, come quel piccolo rametto di cedro che viene posizionato dal Signore sul monte alto ed è lì che cresce. Così, crescere significa adattarsi, avere quella capacità di modulare e rimodulare se stessi e gli ambienti, per poter vivere bene e vivere insieme alle altre persone. Questo vale sia per la nostra vita spirituale sia per le nostre città, per i luoghi che abitiamo. Adattarsi è quella capacità non di sistemarsi o di aggiustarsi ma di far spazio ai cambiamenti e agli altri che ci cambiano la vita. Crescere adattandosi, poi, ci rimanda alla nostra condizione di creature, alla nostra dimensione di corporeità che abita qui e che cammina in questo mondo, nella fede e non ancora nella visione. Ci ambientiamo e cresciamo ambientandoci che, per dirla con le parole di Paolo, significa crescere in questo corpo, crescere con un orizzonte di riferimento, con una fede nella visione che ci poniamo dinanzi. Altrimenti non avrebbe senso neanche crescere se non ci accorgessimo di essere in questo corpo, di essere in una situazione precisa che Paolo chiama di esilio, di essere desideranti di giungere al Signore. Crescere, allora, significa adattarsi ai cambiamenti, ma anche ambientarsi nel proprio corpo e nella propria storia, con i tempi che ci attraversano, che cambiano, che ci scandiscono. In questo è il segreto di una pianta che viene seminata e che cresce spontaneamente, secondo delle tappe e delle scansioni temporali che neanche il contadino può controllare. Crescere, allora, ambientandosi, creando ambiente, divenendo ambiente ospitale nelle tappe della vita, nelle tappe della società, nelle tappe delle nostre città. Infine, un’altra caratteristica che possiamo prendere dalla metafora degli alberi è quella di abituarsi. Spesso la parola abitudine l’abbiamo associata ad una certa indifferenza o ad una distrazione nelle cose. Invece, abitudine ha a che vedere con l’abitare non solo nostro ma con l’offrire spazi in cui le persone possano abituarsi al bello e al vivere bene, in cui le persone possano trovare ripari. Abitudine che farebbe bene anche alle nostre città se, come suggerisce Mancuso e tanti altri scienziati, potessimo piantare sempre più alberi nelle zone urbane per abbassare la temperatura e contrastare il riscaldamento climatico. Tutti gli alberi e i semi citati nella liturgia della Parola di oggi ci ricordano che abituarsi significa offrire spazi di rifugio, di consolazione che possono essere abitati anche dalle altre persone. spazi così quotidiani che formano la nostra stessa personalità, che strutturano il nostro carattere, che ci permettono di crescere e intravedere già dentro di noi quel seme di Regno di Dio che è destinato a fiorire nella giustizia, perché è il giusto che fiorisce come una palma negli atri del Signore.
Molto bello. Io ho sempre odiato le abitudini eppure, nelle semplici attività quotidiane, il luogo in cui si abita diventa una risorsa, un punto di incontro, di apertura, e ti rilassa curarlo anche perché sia disponibile agli altri. Cresce il seme, la pianta dell’amicizia e cresce il tesoro che si trasmette ai nipoti cui piace ciò che cucini ma cui importa ben altro, cioè il sentirsi amati e destinatari di tesori educativi che serviranno in futuro per affrontare ció che la vita metterà loro davanti. Giorno e notte, come, neanche una nonna, lo sa.