Questo è il mio corpo
Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26
La solennità del Corpus Domini ci permette di rimettere al centro l’eucarestia come Corpo di Cristo. Eppure, nelle forme rituali che appartengono a questa celebrazione, il motivo centrale rimane non solo quello del Corpo di Cristo, ma del nostro stesso essere corpo ecclesiale e corpo esistenziale. Infatti, al termine della celebrazione eucaristica vivremo il momento della processione non solo come atto devozionale all’Eucarestia ma per ricordarci che tutti noi siamo il Corpo di Cristo, che il nostro essere in cammino insieme, sin-odos, significa essere corpo e diventare corpo ecclesiale. La solennità del Corpus Domini, allora, rimette al centro il nostro essere corpo, il tema della corporeità. Riprendendo la riflessione di Annalisa Caputo sul testo Le nozze dell’Agnello del filosofo francese Emanuel Falque oggi ci facciamo aiutare non da cosa può un corpo ma dal nostro essere corpo, dal nostro diventare corpo. Meditare, oggi, su cosa significhino le parole di Gesù: Questo è il mio corpo, non ci riporta solo alla dimensione del corpo eucaristico ma al nostro poter dire che questo è il mio corpo. Un corpo fragile, un corpo ferito, un corpo imperfetto, un corpo che non è solo oggetto di prestazioni e di performance, ma un corpo abitato dalla Parola, un corpo che si fa presenza reale e, quindi, dono per l’altro. La nostra corporeità inizia quando affermiamo che questa carnalità organica che siamo è il mio corpo. E non solo il mio corpo, ma il mio corpo offerto per gli altri, tutto ciò che sono e tutto ciò che posso offrire. In questo, poi, ci possiamo riconoscere corpo ecclesiale, Chiesa. Nella misura in cui non siamo oggetto di prestazione o di numeri, ma siamo corpi di carne che sono presenza reale dinanzi ad altri corpi di carne attraverso la parola. Corpo e Parola sono i due elementi che la solennità del Corpus Domini ci ricorda. Ed ecco perché già in Mosè ritroviamo non solo il sangue ma anche la Parola che viene detta dal Signore e che Mosè riferisce a tutto il popolo. Non solo il sangue come i sacrifici antichi dinanzi a divinità mute, ma sangue e parole, sangue che trova significato nelle parole che il Signore riferisce a tutto il popolo attraverso Mosè e il popolo cerca di eseguire, di mettere in pratica, di decifrare con il proprio corpo. Sangue che è prefigurazione di Gesù che ha offerto non solo il sangue di animali ma il suo stesso sangue. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Non solo sangue ma l’offrire il sangue, non come prezzo da pagare ma come dono all’altro, come dono che Gesù ha fatto a noi attraverso il suo Corpo e il suo Sangue, perché noi possiamo offrirci gli uni gli altri, possiamo essere presenza reale del Signore. Nelle parole di Gesù, Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, allora ritroviamo tutta la capacità del nostro essere corpo, del nostro essere presenza reale che si dona agli altri, del nostro essere meravigliosamente carne in quanto il nostro stesso Dio si è fatto carne, ha preso un corpo, ha scelto di essere presenza reale in mezzo a noi attraverso il suo Corpo e il suo Sangue. Spesso abbiamo sentito parlare di una sottolineatura del molti o del tutti, specialmente un po’ di anni fa. Ma il vero mistero non è come possiamo tradurre le parole di Gesù, ma come possiamo offrirci noi, nel nostro copro, nel nostro sangue, con tutte le nostre imperfezioni, con tutta la fatica che siamo, con tutto quello che non solo può o non può fare il nostro corpo, ma nella consapevolezza di essere questo corpo e che Gesù sceglie di venire ad abitare in questo corpo, per liberarlo. Allora, riconosciamo anche le parole del salmista quando afferma: Che cosa renderò al Signore, per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Perché il grande beneficio che il Signore ci ha fatto è poter dire, in Lui, questo è il mio corpo.
Noi piccoli esseri erranti, non possiamo far altro che prendere atto delle nostre debolezze e delle nostre iniquità di fronte alla grandezza di un uomo, che come dici nella tua omelia don Matteo, “ha offerto il proprio sangue, non come prezzo da pagare ma come dono all’altro, come dono che Gesù ha fatto a noi attraverso il suo Corpo e il suo Sangue, perché noi possiamo offrirci gli uni gli altri, possiamo essere presenza reale del Signore”.
Un abbraccio don Matteo.