L’arte della vita spirituale
At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-2716,12-15
In una delle sue più celebri opere scritte, Lo spirituale nell’arte, Wassily Kandinskij afferma che l’artista ha bisogno di educare l’anima alla bellezza, perché è in questo che ritroviamo la dimensione spirituale. Non esiste un’arte per l’arte, né la negazione di un senso nell’arte pena la morte dell’arte stessa come dell’anima dell’artista. Per Kandinskij, infatti, l’arte rivela la necessità interiore dell’arte di esprimersi, di utilizzare un linguaggio che possa dire di sé, che possa raccontare delle sue sinfonie interiori. È questa la particolare sfaccettatura spirituale che, oggi, nella Solennità di Pentecoste, vogliamo proporre come chiave di lettura della Parola. Lo Spirito che irrompe nella sala in cui si ritroviamo i discepoli tutti insieme è uno Spirito che educa. Non c’è uno spontaneismo spirituale in cui tutto va bene, tutto è tollerato, tutto è suggerito dallo Spirito per cui ognuno può credere di parlare nello Spirito. Il vento che soffia e lo Spirito che genera fiammelle sulla testa dei discepoli è uno Spirito che lavora dentro, che diviene anche croce e incomprensione, che diviene anche incapacità di riconoscerlo come anche meraviglia nel parlare le lingue degli altri piuttosto che la propria lingua. Lo Spirito, infatti, non ci fa solo parlare la nostra lingua ma crea una dimensione relazionale per cui riesco ad esprimersi e a farmi capire dall’altro. Ma per fare questo non ci si può improvvisare colmi di Spirito e investiti di una verità assoluta e incontestabile. La dimensione spirituale nell’arte come anche nella vita è una possibilità di esprimere se stessi, secondo il nostro modo, secondo le nostre capacità, secondo quello che possiamo e sappiamo fare, senza pensare che quello che siamo noi possa valere sempre, comunque e dovunque. Rischieremmo, in questo modo, di offuscare la spiritualità in nome di un nostro preconcetto o di una nostra capacità. Invece, lo Spirito offre a ciascuno di noi la possibilità di esprimersi nell’ascesi, nell’educazione di sé, nell’acquisizione anche di competenze che riflettano i nostri interessi e le nostre inclinazioni. In questo consiste la possibilità di pregare ancora il Padre e il Figlio di mandare lo Spirito per rinnovare la faccia della terra. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra. Dove il rinnovare e il creare sono quelle opere di Dio che il mondo ancora ci chiede, dinanzi a cui il mondo ancora prova meraviglia non perché siano maestose o mastodontiche, ma perché sanno risuonare in me come anche nell’altra persona. In questo consiste l’educarsi dello Spirito, quello Spirito di verità che ci insegna ogni cosa nella misura in cui prende dal Figlio piuttosto che dal nostro egoismo, nella misura in cui ci facciamo guidare dallo Spirito verso la verità tutta intera. Un educarci nello Spirito e un educarci allo Spirito che modella la nostra stessa umanità in quella contrapposizione paolina fra lo spirito e la carne, due inclinazioni che abitano e sussisteranno sempre dentro di noi. Ed educarci allo Spirito significa portare frutti nello spirito. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Dove per portare frutti uno ha bisogno di lavorare e di insistere, di provare e riprovare, di custodire e prendersi cura di sé e delle altre persone. In questo consiste il vivere e camminare secondo lo Spirito. Un lasciarsi scolpire dalla bellezza, un diventare belli, direbbe Kandinskij, spinti da una necessità interiore che porta ad esprimere la parte più profonda di noi stessi e a riconoscere di non essere soli. Perché in quella profondità c’è mio fratello e mia sorella, ed è quella profondità umana che il Cristo è venuto a salvare. In modo da passare da uno spirituale nell’arte ad un’arte della vita spirituale.