Luce e colore
2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21
La realtà del Tempio, l’importanza del Tempio in questo periodo quaresimale, è tale da impegnarci per due domeniche consecutive. La scorsa domenica abbiamo ascoltato il Vangelo della cacciata dei mercanti dal Tempio che ci ha ricordato come il vero Tempio sia il Corpo di Cristo. In questa domenica, l’orizzonte si allarga ulteriormente e ci narra di come questo Corpo si offre a noi e come in questo Corpo scorgiamo la presenza di Dio. Un Tempio-Corpo che diviene riflesso del nostro essere popolo, opera e comunità di Dio. E il Tempio che viene distrutto e ricostruito, il Corpo di Cristo che viene distrutto e fatto risorgere, ci riporta alla mente l’architettura di una parrocchia presente nell’area sud di Milano: Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa. Una chiesa costruita in un quartiere dove era già presente una chiesetta detta “Chiesa rossa” in quanto fatta di mattoni rossi. Nel quartiere dove sorgeva questa antica chiesa ne viene costruita un’altra dall’architetto Giovanni Muzio in stile rinascimentale. Dentro questa chiesa è presente, dal 1996, un’opera site-specific di Dan Flavin, artista statunitense che ha installato dei tubi in neon all’interno della chiesa rendendone le pareti colorate e seguendo l’armonia rinascimentale data da Muzio. Nell’abside della chiesa è stata collocata un’ulteriore opera d’arte, ancora più recente, dal titolo Luce di Pino Pedano. Una chiesa, insomma, che come il Tempio di Gerusalemme viene costruita e ricostruita durante gli anni ma con una consapevolezza e una esperienza teologica differente, capace di tenere insieme differenti stili in piena armonia. Si tratta di una esperienza del divino che possiamo rintracciare nella liturgia di oggi, che ci parla del Tempio e che ci invita alla letizia. Dove la letizia è, nel Libro delle Cronache, la ricostruzione del Tempio. Non un riportare il Tempio a come era prima, come se dovessimo far finta che nulla fosse accaduto, ma con una consapevolezza nuova, con uno stile differente, con una piega inedita. Questo, plasticamente, è avvenuto con l’opera di Muzio nella parrocchia di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, è avvenuto con il Tempio di Gerusalemme che, dopo la devastazione e la desolazione, viene ricostruito con una attenzione differente, con quella consapevolezza che Dio parla ed è presente anche in Ciro, il re di Persia. Con un ulteriore consapevolezza che la corruzione e l’infedeltà non riguarda solo i pagani ma anche i capi del popolo, i sacerdoti e il popolo stesso, nessuno esente. E il ricordo di ciò che è stato non ci chiede di ripetere, semplicemente, ciò che ci siamo lasciati alle spalle, ma di rivedere e riconsiderare chi siamo e come siamo stati, per reinterpretarlo alla luce di oggi. La malinconia del Salmo, sui fiumi di Babilonia, diviene memoria viva di Gerusalemme che non rimpiange i tempi passati, ma diviene ricerca di una mancanza, ricerca di ciò che davvero è importante per la nostra vita. E la memoria ci permette di ritrovare un nuovo colore, di ritornare alla costruzione del Tempio e di vivere il nostro essere comunità, sotto una luce nuova, sotto una prospettiva differente. Nella parrocchia di Milano, infatti, non viene ricostruito un Tempio con le stesse dimensioni di quello precedente, ma secondo una sensibilità nuova, tipica dello stile neo-rinascimentale di Muzio. La memoria viva e vera non ci spinge a ripetere ciò che è stato ma a vivere il passato come orizzonte nuovo, come consapevolezza di una vita nuova, di una resurrezione, di una luce differente. Ecco perché l’opera di Dan Flavin, seppur con materiali minimi, ci richiama ad un nuovo colore, che non sporca o rovina ciò che è stato, ma né da una nuova luce, un nuovo colore, una nuova percezione. Un nuovo colore che dice che non sono le nostre opere a farci ottenere la salvezza, ma che noi siamo opera sua, come ricorda Paolo alla comunità di Efeso. Siamo noi l’opera del Signore, siamo noi che, nei colori e nella varietà dei colori della nostra vita, portiamo una luce nuova a ciò che c’è già. Rendiamo la realtà più viva e colorata, questo significa essere noi opera del Signore, essere già risorti. E siamo risorti in quella croce di cui parla Gesù a Nicodemo. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, così la croce diviene finestra sull’infinito. Il legno della croce, come nell’opera di Padano, si mescola alle luci e ai colori di Flavin e ci apre alla luce di Dio. Una luce che attraversa la croce, che illumina la croce, che rende la croce stessa un raggio di luce infinita nella varietà dei colori che siamo. Ed anche noi, come nella chiesa di Santa Maria dell’Annunciata, siamo chiamati ad andare verso la luce, ad uscire dalle nostre tenebre e nella varietà dei colori che attraversano la nostra esistenza, giungere a quella porta di luce in cui il mistero eucaristico viene celebrato e ci rende riflesso di luce, popolo di Dio, comunità in cammino.