Maestri di pensiero
1Sam 3,1-10.19-20; Sal 39; 1Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42
In una recente intervista su Avvenire, Michelangelo Bovero, allievo e successore di Norberto Bobbio ha affermato a proposito del suo maestro: «Il maestro accetta l’allievo, ma è l’allievo che sceglie di seguire quel maestro. Io ho la fortuna di dire: sono responsabile di aver scelto di seguire Bobbio». Dopo venti anni dalla scomparsa di Norberto Bobbio, sentiamo ancora parlare di maestri, di rabbì, come ci suggerisce il Vangelo di oggi. E nella Parola di oggi, il perno per riscoprire e amare, per camminare ed essere illuminati dalla Parola è proprio l’essere maestri. Non essere maestri della parola, ma maestri di Parola, di quella Parola che è Cristo Signore e che quei due discepoli iniziano a seguire. Ma, attenzione, la prima e principale caratteristica dell’essere maestri nella Parola è quello di lasciar andare i propri discepoli. Di Andrea e dell’altro discepolo, infatti, non viene detto che sono discepoli di Gesù, ma discepoli del Battista. Il maestro della Parola è il Battista, prima ancora di essere Gesù. E il passaggio di testimone che fa di un maestro un vero e proprio maestro. È la capacità di farsi da parte per far emergere la Parola, per lasciare ai suoi discepoli non tutto quello che può essere detto ma la Parola stessa. Essere maestri, infatti, significa avere la capacità e la maturità di lasciare il testimone, di lasciar emergere la Parola dentro i propri discepoli e di indicare la Parola ai propri discepoli. Ed è la Parola stessa che annuncia, la Parola stessa che diviene rabbunì, che diviene maestra. Significa, in altri termini, lasciare che i discepoli sappiano cogliere gli aspetti più veri e anche le criticità in ciò che il maestro dice per non assimilare il maestro con la Parola ma lasciare che la Parola sia maestra. In questo senso, l’esperienza dei discepoli diviene esperienza della Parola, capacità di leggere la Parola e, soprattutto, di essere responsabili della Parola, di essere loro i responsabili nell’essersi scelto il maestro. È in questo che si rivela la domanda di Gesù: “Che cercate?”. Una domanda che diviene assunzione di responsabilità nell’essersi scelto il maestro, nell’aver scelto Gesù come maestro. Una responsabilità anche nei confronti delle altre persone, tanto che Andrea va a chiamare suo fratello Simone, che sarà chiamato dalla Parola stessa, Cefa. Scegliere il maestro, scegliere di seguire la Parola, non significa pendere dalle labbra del maestro, ma fidarsi di una persona, fidarsi di colui che ci lascia intravedere la Parola e di cui noi ne diventiamo, in prima persona, responsabili. Una responsabilità nei confronti di se stessi e nei confronti dei fratelli e sorelle più piccoli. Una responsabilità nei confronti di se stessi, della propria corporeità. Non solo nel non commettere azioni impure, ma nel non essere impuri. Perché noi spesso pensiamo che l’impurità riguardi solo la sessualità, mentre Paolo ai Corinzi ricorda una assunzione di responsabilità del proprio corpo come integrità di se stessi, dinanzi agli altri. Responsabilità che vuol dire anche morbosità, ambiguità e cupidigia, capacità di non entrare in una logica di possesso dell’altro e di invidia, perché tutto questo è impurità, che arriva all’appropriazione indebita dell’altro. Ed è anche capacità di essere maestri nell’aiutare i più piccoli a riconoscere la Parola, anche quando questa sembra essere rara nella vita. Una capacità che indica anche una frequentazione della Parola, una anzianità nella Parola. Come Eli con Samuele, per cui egli non è invidioso di un Dio che parla a Samuele, ma intuisce ciò che sta avvenendo, che il Signore sta parlando al giovane Samuele ed è questo che istituisce Samuele come profeta. E quando questo avviene, quando Samuele inizia ad avere dimestichezza con la Parola, a riconoscere la Parola, ecco che Eli scompare, il maestro lascia il testimone al Maestro, alla Parola stessa. Ecco, allora, che la scelta del maestro è scelta di responsabilità non nei confronti del maestro, ma nei confronti della Parola stessa, in un passaggio di testimone che libera il pensiero, che sostiene la vita in cammino, che ci fa assumere uno sguardo critico e cristico sul mondo. Grati a quei maestri di pensiero che ci hanno aiutato a guardare e a seguire la Parola, da uomini e donne liberi.