Concetto spaziale, attesa
Is 63,16b-17.19b; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37
Le opere più celebri del pittore Lucio Fontana sono i cosiddetti tagli nelle tele. Tuttavia, il ciclo pittorico di Lucio Fontana più conosciuto è stato nominato dall’artista Concetto Spaziale. Si tratta di tagli incisi nelle tele che pongono una nuova visione spazio temporale, una nuova dimensione e interpretazione del tempo e dello spazio. Non più figure, disegni, ma puro colore e pura forma. Forma che scavalca la materia della tela stessa, che, per utilizzare un verbo del Libro del profeta Isaia, squarcia la materia. L’invocazione di Isaia è rivolta a Dio affinché possa squarciare i cieli e scendere. Una immagine estremamente affascinante perché non dice una catastrofe, non dice l’autodistruzione apocalittica del mondo, ma l’ingresso di una nuova realtà nel campo della creazione, l’ingresso di Dio stesso nella creazione, nel tempo e nello spazio. Questo è il nuovo concetto spaziale, se vogliamo, che l’opera di Fontana e la Parola di Dio ci spingono a guardare in questa domenica, Prima di Avvento. Un tempo in cui l’attesa si trasforma in attenzione. Un tempo in cui l’attesa apre ad una nuova dimensione spazio temporale. D’altronde, anche la prima parte del ciclo Concetto Spaziale di Fontana ha come sottotitolo Attesa. Sono tagli nella materia, squarci di cielo che lasciano intravedere una nuova dimensione spazio temporale ma, al tempo stesso, ci fanno attendere che da quei tagli qualcosa o, per noi, Qualcuno, si riveli. Un’attesa, allora, che ci rende attenti nei confronti di noi stessi e degli altri, nei confronti delle persone che abbiamo intorno, nei confronti dei compiti che il Signore stesso ci ha affidato e che facciamo maturare nella nostra vocazione. La parabola raccontata da Gesù in questa domenica ricalca questa connessione fra attesa e attenzione, per cui è l’attesa che ci rende più attenti e l’attenzione diviene pratica di attesa non delle persone ma nei confronti delle persone. Attenzione nei confronti della comunità e della storia che fa esclamare a Paolo l’elogio della comunità di Corinto. Per una volta, Paolo non è quello che rimprovera la comunità ma colui che loda l’operato della comunità di Corinto perché nell’attenzione vicendevole si è rivelata degna testimone di Cristo. La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Un’attenzione che dice il nostro essere al mondo e il nostro essere nel mondo. Una attenzione che ricolloca il nostro esserci, il nostro compito all’interno della storia, la nostra collocazione all’interno del tessuto sociale e delle nostre città. Essere attenti nell’attesa, infatti, significa riconoscere chi siamo, significa non lasciare che le onde dei mille impegni, delle tante scadenze, delle tante cose da fare ci sovrastino e noi restiamo sballottati da una parte all’altra. Significa, in altri termini, essere attenti a noi stessi, attenti a chi siamo e a quale orizzonte facciamo riferimento. Squarciare i cieli per intravedere un modo differente di contemplare il creato e le altre persone, per essere con gli altri, persone che attendono, che si fanno prossimi e collaborano alla venuta del Regno, in questo spazio tempo, in questa storia comune.