Clericalismo: frusta e flagello – Ml 1,14b-2,2b.8-10; Sal 130; 1Ts 2,7b-9.13; Mt 23,1-12
In un intervento durante la prima seduta sinodale, papa Francesco ha affermato che il clericalismo è “una frusta, è un flagello, una forma di mondanità che sporca e danneggia il volto della sposa del Signore, schiavizza il santo popolo fedele di Dio”. “Con quanta pazienza deve tollerare gli sprechi, i maltrattamenti, le esclusioni da parte del clericalismo istituzionalizzato”, ha esclamato il Santo Padre: “E con quanta naturalezza parliamo dei ‘prìncipi della Chiesa’, o delle promozioni episcopali come promozioni di carriera! Gli orrori del mondo, la mondanità che maltratta il popolo santo fedele di Dio”. Ha, inoltre, aggiunto il papa una nota di amarezza e dolore nel riguardo di quei giovani preti che vanno in giro per atelier di moda per provarsi cappelli, talari e rocchetti. L’immagine che già Gesù ci offre del clericalismo la possiamo riprendere esattamente dal Vangelo di questa domenica: Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Non è solo un fenomeno recente legato ad una certa estetizzazione della vita e ad un narcisismo che chiede di essere sempre e comunque qualcuno nella vita. Il clericalismo è un fenomeno antico, una tentazione sempre presente, un facile comportamento alle volte difficile da riconoscere. Occorre una grande spiritualità, una profonda vita interiore fatta di umiltà e pazienza per non cedere alla trappola di questo ateismo pratico. Perché il clericalismo è una forma di ateismo pratico in quanto è la ricerca costante di un potere individuale legato al detenere la Parola di Dio, nell’essere diventati padroni di Dio. Il clericalismo è una forma di detenzione di un potere assoluto di un dio diventato assoluto, capace di produrre divisioni, gerarchie, parzialità. È il monito del profeta Malachia contro i sacerdoti, divenuti clericalizzati non tanto per le divise quanto per un insegnamento parziale, che non riguarda più la Parola ma una serie di precetti, norme e dottrine. E ci riferiamo sia a chi ha ricevuto il ministero ordinato, sia a chi è battezzato ed esercita il suo impegno come sacerdote. Quando il sacerdozio non è più donazione di vita, non è più un essere illuminati dalla Parola, un ascoltare la Parola e un offrire gloria a Dio attraverso la costruzione di ponti e di comunità, allora diviene detenzione di un potere, in grado di inquinare anche la vocazione alla vita presbiterale. Parlare a nome di Dio è quello stare seduti sulla cattedra di Mosè, dinanzi alla quale non basta criticare ciò che si fa e le persone che si sono sedute, ma occorre anche praticare ciò che loro non praticano. Qui c’è quella libertà interiore che nasce da una spiritualità profonda per cui non crediamo e non cediamo ai clericalismi ma obbediamo alla Parola. Ad una Parola che ci spinge a donare vita, che viene accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti. Qui è la differenza fra il clericalismo e il cedere al clericalismo da una parte e l’obbedire alla Parola di Dio dall’altra. Un’obbedienza che opera in noi, una obbedienza che è pratica della Parola stessa, che costruisce alleanze invece di gerarchie su gerarchie. Per cui non esistono padri, maestri e guide, cataloghi e ideologie, dottrine e precetti che possano ostacolare la libertà che il Signore stesso ci ha donato, che Gesù stesso ha inaugurato. Una libertà che ci mantiene saldi interiormente, che non apprezza l’altro per il suo ruolo clericale ma per la sua libertà interiore. Una libertà che non accetta prigioni di precetti asfittici dati da chi pensa di avere il potere di Dio, il potere su Dio. Esiste solo l’amicizia che ci permette di scorgere la bellezza di Cristo in una libertà che ci rinnova, che ci rende sempre nuovi, che ci converte e che ascolta e glorifica, che attende nella serenità, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre.
Concordo su quanto è scritto. Questo pensare la comunità dei battezzati è la via per ritornare alle fondamenta della Chiesa dove centro è l’esempio di Gesù. Il clericalismo invade anche il pensiero di tanti laici che si aspettano riti , pizzi e merletti. Solo la fatica di educare ad una visione diversa può portare al cambiamento reale. Occorre lavorare.