Pelle con pelle – Es 22,20-26; Sal 17; 1Ts 1,5c-10; Mt 22,34-40
Uno dei più celebri ed efferati esempi di tortura e di pena capitale che la fantasia della storia umana riporta è lo scorticamento. Togliere la pelle a persone vive è sempre stato un gesto di brutale tortura, come togliere la pelle a persone morte ha sempre significato un infierire sul cadavere, un vilipendio e un disprezzo nei confronti di chi è inerme. A Bisceglie abbiamo il santo martire Sergio raffigurato con gli uncini della decorticazione in quanto fu ucciso, in odio alla fede, con questo brutale metodo. Perché la pelle, nonostante sia la parte più esterna a noi, la parte che non riguarda l’interiorità più elevata, è in realtà ciò che ci permette di comprendere e riconoscere cosa il Signore voglia dirci in questa domenica. La pelle è il simbolo della compassione, tanto che togliere la pelle o fare la pelle a qualcuno, come abbiamo affermato, è un gesto degradante, umiliante e brutale. Non si tratta solo di un pezzo di anatomia, ma riconoscere il senso più profondo dell’amare il prossimo come se stessi. Lavorare fianco a fianco con gli altri e le altre, vivere il nostro quotidiano con altre persone, vuol dire anche riconoscerne l’odore della pelle, il comunicarsi pensieri, emozioni, posture attraverso la pelle. Forse è l’interiorità stessa dell’altro che inizia dalla nostra pelle, da un riconoscersi a pelle, da un guardare o, spesso, giudicare l’altro per la sua pelle. È ciò che gli altri vedono di noi e ciò che, al tempo stesso, non possiamo cambiare, ma che si espone all’amore e al desiderio di essere amati. Il desiderio stesso di amare una persona vorrebbe farci andare oltre la sua pelle, entrare in una relazione di intimità e ci porti a fonderci con l’altro, ad andare oltre la sua pelle, ma ci accorgiamo che possiamo amare gli altri e le altre solo nella loro pelle e attraverso la pelle. Per questo motivo, l’amare il prossimo come se stessi significa amare l’altro che si rivela a me nella sua pelle. Non un altro generale e generalizzato, ma un altro che ha una pelle, che è dinanzi a me con la sua pelle, che mi stringe la mano, che abbraccia la mia pelle, che è bisognoso come la vedova, l’orfano, lo straniero anche quando ha una pelle del colore differente dalla mia. Le regole che Dio da al suo popolo, sono regole che indica un contatto a pelle con gli altri, una compassione verso gli altri come Egli stesso è pietoso. La pietà di Dio si riversa nella comunità, nell’essere un popolo che cammina fianco a fianco, pelle contro pelle. In questo riconosciamo anche la vera essenza del Sinodo, in un camminare pelle con pelle, compassione con compassione, corpi con corpi. Ed ecco perché il Signore sottolinea da una parte che non bisogna essere usurai perché l’usuraio è colui che ti scortica, che ti fa la pelle, che non guarda al tuo bisogno ma a quanto può toglierti nel tuo stato di indigenza; dall’altra parte sottolinea il ridare il mantello al prossimo entro il tramonto, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle. Dove la pelle indica una esposizione che ha bisogno di cura, di custodia, di compassione. D’altronde noi crediamo che è Dio stesso che ha preso una pelle, che si è fatto carne, in Cristo Gesù. Quando proclamiamo che il Signore si è fatto carne, che Gesù Cristo è il Dio-con-noi, il Figlio fatto carne, stiamo affermando che Dio ha preso pelle, che Dio si comunica a noi attraverso la sua pelle e attraverso la nostra stessa pelle. Del resto è la stessa gioia di Paolo quando afferma che: Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedònia e in Acàia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Il Vangelo si diffonde pelle contro pelle, pelle con pelle, prendendosi cura della pelle delle persone perché è la chiave per adempiere quel comandamento dell’amore di Dio. Da come riconosciamo di amare Dio? Da un equilibrio di cura fra la nostra pelle e la pelle degli altri, fra la nostra carne e la carne del prossimo, che è anche quello che puzza, quello a cui non riusciamo ad avvicinarci, quello che mette in crisi le nostre certezze anche sulla fede e su Dio. Ma è qui, nella rivelazione della pelle dell’altro, del contatto fra la nostra pelle e la pelle degli altri e delle altre, che si rivela l’amore di Dio, un amor che supera ogni tranello, ogni nascosta giustificazione o anche ogni rancore, perché ci mette qui, in un riconoscerci a pelle.