La sfida della cittadinanza: la prossimità
In prospettiva, quali potrebbero essere le sfide che le città e, soprattutto i cittadini, si troveranno ad affrontare nei prossimi anni? Per rispondere a questa domanda, la prima cosa necessaria sembra essere quella di riconsiderare il tema della cittadinanza. Sentiamo spesso parlare e utilizziamo spesso termini come cittadinanza attiva, per indicare quei cittadini che operano all’interno delle città attraverso azioni sociali. Tuttavia, questo significa che c’è anche una cittadinanza passiva che subisce la città e che subisce anche le trasformazioni delle città, come anche una divisione fra cittadini che si interessano alla propria città e alle problematiche sociali e politiche ed altri cittadini che sorvolano su tutto questo, in uno stato di sopravvivenza all’interno dei nuclei urbani. Il concetto di cittadinanza ha ancora bisogno di liberarsi dalle differenze fra attivi e passivi per sviluppare tutto il suo potenziale dinanzi alla realtà urbana contemporanea. I cittadini attivi, infatti, sono quelli che si impegnano, quelli che si informano, quelli che partecipano ai momenti decisionali delle città, eppure per affrontare le sfide urbane tutto questo è necessario, lodevole, ma non ancora abbastanza. Ad esempio, mettere in atto politiche di risposta alla crisi climatica non può più riguardare solo alcuni cittadini che si impegnano nella raccolta differenziata, nella pulizia delle spiagge, nella preservazione degli ecosistemi ambientali, se poi altri cittadini parcheggiano i loro suv in doppia fila, gettano carte per terra, continuano ad inquinare e ad utilizzare indiscriminatamente le risorse ambientali. Rispondere alle sfide urbane, oggi, significa rendere ogni cittadino parte attiva del tessuto comunitario, della realtà urbana. Mostrare e dimostrare dove vanno a finire i rifiuti prodotti, cosa significa davvero disperdere agenti inquinanti per la strada o nei fiumi e mari. Si tratta di una consapevolezza che ha bisogno di contrastare non il male straordinario, ma quello che Arendt chiamava il male banale, il male fatto dalle piccole persone che ubbidiscono senza coscienza, senza prospettive e visioni complesse. Si tratta, allora, di ristabilire non una cittadinanza attiva, contrapposta ad una cittadinanza passiva, una cittadinanza di prossimità. Una cittadinanza in cui l’informazione sull’impatto inquinante, sull’uso delle tecnologie, sullo spreco delle risorse, vadano oltre il consumo individuale e diano una visione complessa alla comunità urbana. Ricomprendere gli effetti delle nostre azioni ci riporterà ad essere cittadini, a pieno titolo, e non più gregari sotto una dittatura del menefreghismo cieco e fascista. Cittadini in grado di riconoscere la specificità del proprio territorio, di prendere decisioni non solo collettive ma personali in grado di rispondere alle sfide della città contemporanea, da cittadini.