Le aree interne, in un momento di passaggio
La visione urbanocentrica della pianificazione non ci offre ancora la possibilità di osservare alle, cosiddette, aree interne. Sono i luoghi che, geograficamente, si caratterizzano per essere lontani dalla città. Parlare di aree interne, infatti, significa pensare ad una grande costellazione di borghi, piccoli paesi, aree urbane che sono lontane dalle grandi città e che sono disseminate in tutto il territorio. In modo particolare, in Italia, abbiamo una enorme quantità di paesi e piccoli borghi che offrono al Paese una sua connotazione plurale e specifica. Il primo fenomeno a cui pensiamo, quando osserviamo la pluralità di questi borghi è lo stato di abbandono. Quando pensiamo ai piccoli paesi dell’interno, ci viene immediatamente da pensare alla desolazione lasciata dalla mancanza di lavoro, agli anziani che ancora sopravvivono al suo interno, alle case abbandonate da famiglie in cerca di fortuna nelle grandi città. Immagini desolanti e anche malinconicamente poetiche, in quanto ruderi di un passato lontano, agricolo e pastorale. Tuttavia, a ben vedere, possiamo osservare una fase di passaggio legata alle aree interne. Una fase di passaggio in cui le aree interne tornato alla ribalta per delle qualità ormai perse all’interno delle alte concentrazioni urbane. In modo particolare dopo la pandemia da Covid-19, si sta riscoprendo la grande potenzialità delle aree interne collegate e collegabili attraverso nuovi linguaggi e nuove tecnologie alle aree maggiormente densificate. Lo smart working, l’uso della rete internet, il distanziamento, la capacità di resilienza dei luoghi, sono tutti fattori che hanno riportato al centro dell’attenzione le aree interne, in termini di vivibilità. La grande densità urbana, il sovraffollamento anonimo delle metropoli spinge ad un necessario ripensamento della densità in termini di prossimità. Definire una città densamente popolata, spinge ad una visione umana incentrata sulle maggiori possibilità. Vivere con più persone, in altri termini, favorirebbe le possibilità di incontro, di lavoro, di opportunità che la città può offrire. Eppure, il grande mancante, fra tutte queste possibilità, è la prossimità, elemento caratterizzate, in tutte le sue sfaccettature, le aree interne, le piccole città. Questa ricerca di prossimità spinge alla riconsiderazione delle aree interne non solo in termini di popolazione, ma in quanto specifico del territorio. Piccoli centri che investono sul turismo enogastronomico, sulla genuinità dei prodotti, sul gusto e sul sapore di un tempo più disteso, in cui incontrare altre persone. Le aree interne diventano territori di sperimentazione per favorire l’insediamento di nuovi abitanti. Un momento di passaggio, dunque, delle aree interne non più solo come luoghi da abbandonare in cerca di fortuna, ma anche e soprattutto come luoghi in cui lavorare con ciò che c’è, in cui mettere in campo nuove prospettive sistemiche, nuove reti di interazione e di comunicazione dello specifico, delle persone come dei territori.