Rigenerazione pubblica dei territori
Come ben sappiamo, una delle più grandi sfide delle città, oggi, è quella della rigenerazione degli spazi urbani. A parte qualche bieco e cieco tentativo di costruzione di nuovi edifici e di cementificazione di alcune aree, la prospettiva culturale e politica delle città è quella di rigenerare l’esistente, di reinventare ciò che c’è. In modo particolare, le grandi aree dismesse delle città, sono il sintomo e la sfida più avvincente che vede coinvolti operatori dei vari settori urbani, dagli architetti ai sociologi, dai facilitatori di gruppi ai filosofi. Perché reinventare gli spazi urbani non è qualcosa di delegabile solo ad una amministrazione comunale né tantomeno ai privati. Il grande rischio che corrono le nostre città è quello di vedere le grandi aree, completamente rigenerate e rifunzionalizzate attraverso investimenti privati. I processi di rigenerazione urbana sono sempre più legati allo spazio privato, eppure la reinvenzione dei grandi spazi e delle grandi aree dismesse delle grandi città dipende da una visione urbanistica della città, una visione pubblica. La visione privata è quello che ha cambiato il paradigma di pianificazione delle città, per cui assistiamo a procedimenti inventati e governati da privati che lavorano all’interno di un perimetro. Si viene a creare una pianificazione autoreferenziale di alcuni spazi senza una concertazione dell’area rigenerata con il resto della città. Fenomeno che rende la rigenerazione urbana un procedimento di èlite e solo per alcune enclaves private. È vero che l’affidamento delle grandi aree dismesse, come possono essere le manifatture statali, i capannoni in disuso, gli scali ferroviari inutilizzati, le stesse opere incompiute, garantiscono una rapidità di finanziamento e di accesso ai capitali, tuttavia creano delle aree perimetrate che non corrispondono più ad una visione urbanistica della città, ad una visione d’insieme delle aree urbane. Grandi impianti privati che rischiano di comportarsi come distretti produttivi, in chiave commerciale, che funzionano come nuovi ghetti d’alta borghesia, dove il cittadino comune difficilmente ci entra. Siamo dinanzi ad un gigantesco patrimonio dismesso, all’interno delle nostre città, come nelle aree rurali. Patrimonio che, nel bene e nel male, ci viene affidato nell’oggi e che ci chiede di ripensare non solo in termini di spazio, ma in termini di territorio. Una rigenerazione, dunque, che sia opera collettiva, in relazione agli interessi dei privati, ma sempre e comunque conservando la sua dimensione pubblica. Una visione d’insieme che spinge a ripensare i territori, offrendo il solo vero concime che serve alla rigenerazione urbana: i cittadini.