Urban farming come approccio pedagogico
Siamo soliti pensare la città come qualcosa di separato dall’ambiente rurale. Separazione del cemento da tutto ciò che cemento non è. Non separazione da qualcosa che non è naturale, ma quasi una tendenza inversa a considerare il cemento come il vero e proprio ambiente dell’essere umano e tutto il resto come un fattore estraneo. La pericolosa illusione di poter vivere al di dentro di una cerchia di cemento, in cui tutto viene tagliato fuori, in cui tutto viene recepito come ambiente esterno alla città, soprattutto l’ambiente rurale, è la tentazione che si insidia in ogni cittadino, come anche in ogni processo di crescita delle giovani generazioni. Ad un certo punto, sembra che la nostra vita sia naturalmente insita in un ambiente al di fuori della natura stessa, avulso da qualsiasi relazione con il verde, l’ecosistema, le zone rurali. In questo modo assimiliamo il confort al naturale, credendo che più una cosa ci faccia stare a nostro agio più ci venga naturale. In questo senso, le città sono i luoghi in cui sviluppiamo una vita comoda, una vita piena di confort, scambiando questo come l’ambiente naturale in cui muoverci, orientarci, localizzarci. Sottolineata questa tentazione non solo di antropocentrismo ma di antropizzazione dell’ambiente naturale, molte delle prospettive e delle idee sulla città sentono il bisogno di riprendere in mano la relazione ecosistemica fra essere umano e ambiente naturale, fra città e zone rurali. Una gestione ecosistemica dell’ambiente che vede la natura entrare nell’ambiente urbano non solo attraverso la piantumazione di nuovi alberi, ma anche attraverso l’urban farming. Pensare alla relazione fra essere umano e ambiente naturale, infatti, non significa solo piantare più alberi all’interno delle nostre città o costruire più parchi, ma anche ritornare ad un sistema agricolo all’interno delle città. Si tratta, dunque, di non concepire più la campagna come ciò che è fuori dalla città, ma come elemento in dialogo con la città stessa. Dove per dialogo non intendiamo solo una produzione di merci, ma anche una comprensione pedagogica di come nasce il cibo, di ciò che serve per produrlo. È questo il caso degli orti urbani, i quali non servono solo per l’approvvigionamento personale, ma anche per permettere ai bambini e alle bambine di intrecciare un legame con la natura, di riconoscere i frutti, la forma delle foglie, i tempi e le stagioni. Pensare l’urban farming, la fattoria urbana, allora, significa ripensare ad un tratto pedagogico che ci riporti a dialogare con l’ambiente in cui siamo e da cui proveniamo. Porre una parola fra chi siamo noi e il come viviamo il nostro ambiente, ripartendo dalla città. Fin dal Medioevo, l’orto era un elemento di approvvigionamento famigliare, per cui ogni famiglia possedeva il suo pezzo di orto all’interno della città per i bisogni quotidiani. Oggi, forse, non è necessario tanto l’approvvigionamento, quanto la presa di coscienza educativa che ha il mondo rurale e naturale all’interno della crescita dell’essere umano prima e del cittadino poi.