
Uscire dalla zona di comfort
Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13
L’inizio del tempo quaresimale ci pone sempre dinanzi alle tentazioni di Gesù. Sembra quasi essere un monito per noi, ma in realtà il Vangelo delle tentazioni ci introduce ad una possibilità differente di scorgere noi stessi e l’ambiente che ci circonda. Una possibilità differente e controcorrente rispetto a quello che Stefano Boni ha evidenziato come homo comfort. Secondo Boni, infatti, la ipertecnologizzazione della vita, il rifiuto della morte, il rinnegamento del dolore e della stanchezza fisica, ma anche il pervasivo individualismo come salvaguardia dell’anonimato e dei diritti individuali, hanno creato una mutazione antropologica che l’antropologo chiama homo comfort. Una mutazione antropologica che non ci fa stare a nostro agio davanti ad alcuni insetti, che ci ha donato, in cambio, una sorta di malessere diffuso, difficile da decifrare. Un misto di noia, perdita di senso, stanchezza. Il primo passo quaresimale è iniziare a liberarci da questa antropologia dell’homo comfort, uscire dalle comodità che ci assuefanno, che ci chiudono in un individualismo del tempo libero che non sappiamo più come riempire, che ci evitano anche la fatica del pensare. La quaresima è il tempo favorevole per uscire dalla nostra zona di comfort, ed è questo il senso più intrigante delle tentazioni che ha provato Gesù. Innanzitutto una esperienza di deserto, una esperienza di vita dove non ci sono comodità, dove non si vive in mezzo agli agi e si prova fame. Un Gesù che ha fame e che, sulla croce avrà sete. Fame e sete che dicono una uscita dalle comodità essenziali, dalle comodità del frigo pieno, del già preparato, dell’avere tutto a portata di mano. Sentire la fame e la sete, avvertire la fatica di un corpo che lavora, che ha lavorato è ciò che ci permette di vincere le tentazioni, che ci permette di andare oltre le realtà più alienanti della nostra umanità. Tentazioni che fanno eco alla preghiera, al digiuno e all’elemosina, in quanto sono tentazioni che riguardano l’adorazione a Dio, la fame, il potere. Se il mercoledì delle Ceneri siamo stati invitati alla preghiera, al digiuno e all’elemosina, ecco che la prima domenica di quaresima ci mette dinanzi alle tre tentazioni che caratterizzano il nostro appetito: fame, idolatria, potere. Tentazioni dinanzi a cui occorre uscire dalla nostra zona di comfort, dalla nostra piccola comodità che ci permette di avere tutto a portata di mano. Un comfort a cui non tutti hanno accesso e che crea sempre più disparita sociali, culturali, politiche anche all’interno delle nostre città. Esempi più lampanti di queste disparità vanno dal delivero alle compagnie aeree a basso prezzo, dalla fast fashion ai bed and breakfast che infestano le città. Stravolgimenti che inquinano sempre di più, che lacerano tessuti comunitari, che spezzano legami e disintegrano la memoria. Invece, l’uscita dalla zona di comfort sembra essere quella di una professione di fede che ha a che vedere con la memoria e la comunione. Innanzitutto una memoria che, nel libro del Deuteronomio, assume la solennità dei tratti cultuali. La prima professione di fede del popolo ebraico non riguarda un codice di comportamento ma una sorta di narrazione di liberazione. Eravamo profughi, raminghi, nomadi e forestieri, siamo stati umiliati in terra d’Egitto, siamo stati oppressi e sfruttati, ma Dio ci ha liberati. Questa è la professione di fede del popolo ebraico, di Israele. Una liberazione dalla schiavitù che innesca un cammino, una uscita dalla zona di comfort perché anche la schiavitù, come ricordano le cipolle e la carne d’Egitto, è una zona di comodità. La liberazione è uscire dalla propria zona di comfort, non rassegnarsi alla comodità, al piattume di una vita ovattata, ma iniziare un cammino. Quel cammino che viviamo, come ricorda il Salmo, insieme al Signore, insieme a quel Dio che non lascia vacillare il nostro piede e non ci permette di inciampare per strada. Ed è quel cammino che ci permette di giungere alla professione di fede in Cristo. Una professione di fede che rompe ogni comodità per andare incontro all’altro. Non solo con la bocca, ma anche con il cuore. Come ricorda Paolo, la Parola è vicina a noi e la testimonianza di una Parola vicina è che fra Giudeo e Greco, fra cui ci sono muri su muri, ora c’è solo Cristo, colui che fa dei due un solo popolo. Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato». L’altro è un chiunque verso cui andare. Non un qualunque per cui uno vale l’altro, ma quella persona, anche la più impensabile, che si apre alla salvezza, che crede in Gesù, anche verso quella persona, quel chiunque, sono i nostri passi, la nostra uscita dalla zona di comfort, per essere liberi.