
Sotto pelle
Gn 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
Sotto pelle è una scultura dell’artista contemporaneo, Jago. L’opera del 2015 è, in realtà, un sasso di fiume al cui interno è stato collocato un pezzo di marmo rosso con striature che ricordano proprio i muscoli e ciò che c’è sotto la nostra pelle. Un’opera che, in questa domenica di Trasfigurazione del Signore, ci ricorda che la trasfigurazione è sotto la nostra pelle. Una pelle di cui ci prendiamo cura, una pelle che alle volte non ci piace, una pelle che spesso tocchiamo e che si espone all’altro. Una pelle che viene toccata da chi ci ama e, una volta toccata, vorrebbe giungere proprio lì, a contemplare cosa c’è sotto la pelle, il mistero trasfigurante dell’amore. Questa è la bellezza della trasfigurazione del Signore, il quale non diventa altro rispetto a chi egli sia, ma diventa trasparente e, in quella trasparenza ci fa scorgere chi egli sia veramente. L’esperienza della trasfigurazione è una esperienza di pelle, è una esperienza che scava sotto la nostra pelle. Proprio quella pelle che ci sembra non essere mai bella, proprio quella pelle piena di rughe, smagliature, che ci sembra deforme, che è mortale. Proprio questa nostra pelle contiene in sé un fascino, una meraviglia, una bellezza che si cela al di sotto di essa. Come nell’opera di Jago noi abbiamo semplicemente un sasso, vediamo un sasso di fiume, un qualcosa di così semplice e quasi banale da non farci neanche caso. Un sasso che non è perfetto, un sasso che non è neanche il migliore dei sassi, ma ciò che lo rende un’opera d’arte è questo dialogo fra la semplicità del sasso e la preziosità del marmo all’interno, quel marmo che è sangue, quel marmo che racconta anche, se vogliamo, la passione, morte e resurrezione di Gesù, il suo discorrere con Mosè ed Elia proprio di ciò che vivrà a Gerusalemme. Questa nostra pelle che ci espone all’altro è trasfigurata dal tocco dell’altro, trasfigurata perché l’altro non vede più solo carne destinata a perire ma meraviglia di luce. Ed è in quella meraviglia di luce che si rivela l’alleanza di Dio con noi. quella alleanza che ha vissuto anche Abramo e che rivela la sua domanda e la promessa del Signore. Da una parte il domandare di Abramo mentre dall’altra la promessa di Dio. L’incontro fra Abramo e Dio, l’alleanza è sigillata da un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. Fiaccola e braciere che passano in mezzo agli animali divisi, i quali non sono più cadaveri ma segno dell’alleanza. Prima che passasse il fuoco, Abramo aveva visto solo cadaveri, aveva dinanzi a sé solo uccelli che beccavano animali morti, aveva provato solo paura e angoscia, fino a quando non è tramontato il sole. Ma proprio quando Abramo ha fatto i conti con la sua pelle, quando ha provato i brividi della notte sulla sua pelle, ecco che il Signore giunge a fare di quei cadaveri, di quella pelle, un segno della sua presenza, un fuoco che arde. Allora riconosciamo che il Signore passa nella nostra vita, passa sotto la nostra pelle, incendia questa nostra carne rivelandoci che è chiamata alla resurrezione, che è destinata alla trasfigurazione. Come preghiamo nel Salmo: Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura? Perché la luce del Signore si rivela nella nostra carne, nel nostro volto, nel nostro corpo, sotto la nostra pelle. È anche il senso delle parole di Paolo alla comunità di Filippi: La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso. Se ci fermassimo solo al lato biologico tutta questa nostra pelle, questo nostro corpo che perisce e deperisce non avrebbe alcun senso, non lo sentiremmo nemmeno come nostro, forse. Invece, sentiamo di essere corpo, percepiamo il nostro corpo, quando esso viene toccato nella sua pelle, quando ci sono quelle persone che toccandoci nella pelle ci fanno percepire il desiderio di giungere sotto la nostra pelle, a intravedere la preziosità che siamo. Questa è la trasfigurazione di cui parla Paolo che nasce dall’amore di Cristo, da quella tensione verso il cielo, questo nostro essere a metà fra cielo e terra, con i piedi in questo mondo e tesi verso la cittadinanza dei cieli. Essere trasfigurati, allora, significa essere toccati dall’amore, da chi davvero ci ama e ci fa scorgere sotto la nostra pelle quella bellezza che ci appartiene, che sentiamo più vera, autentica e sincera di tutte le cure che possiamo avere nei confronti del nostro fisico. È quella bellezza che brilla nel volto di Gesù, mentre prega. Quella bellezza per cui Pietro afferma che vorrebbe rimanere lì ancora per tanto tempo. Proprio quella bellezza che ancora vince il torpore del sonno, che vince la fatica e la paura. Quella bellezza che coltiviamo sotto la nostra pelle e che possiamo scorgere solo quando siamo presi in disparte dall’amore, quando siamo toccati, pervasi, invasi dall’amore, da coloro che ci toccano nella pelle e vorrebbero rivelarci uno sguardo nuovo sulla nostra vita e nella nostra storia. Allora inizia la trasfigurazione, rivelazione di quella luce increata che ci portiamo dentro e che ci fa somigliare sempre più a Cristo, il Figlio eletto, il Figlio amato.