
Qui prima non c’era nulla
C’è una frase che riecheggia spesso nelle narrazioni storiche di un quartiere, nella fondazione di nuovi quartieri, soprattutto periferici. Una frase che possiamo ascoltare sulle labbra dei più anziani come anche dei giovani che si trasferiscono in una zona di recente costruzione. La frase è: “Qui prima non c’era nulla!”. Una frase che, forse, abbiamo pronunciato anche noi o che sicuramente abbiamo ascoltato almeno una volta. “Qui prima non c’era nulla!”. Una frase curiosa e, al tempo stesso, insidiosa perché ci mette in una postura specifica nei confronti dell’ambiente che ci circonda. Infatti, affermare che in uno spazio prima non c’era nulla, significa affermare innanzitutto che c’è un prima e un dopo, in secondo luogo che c’era il nulla mentre ora c’è qualcosa, che nel prima c’è una negazione (non c’era) mentre ora c’è una affermazione (ora c’è). Nella frase che abbiamo preso in esame c’è un prima e un dopo. C’è una sequenza temporale, innanzitutto. Una dimensione spaziale che interessa il tempo, un tempo secondo un prima che espone la nostra presenza, ovvero un prima in cui noi non c’eravamo. Il dopo, invece, è sempre legato alla nostra presenza, all’ora in cui noi ci siamo e che vede un processo, un divenire nel tempo. Lo spazio, insomma, fra un prima e un ora dice che è avvenuto qualcosa, e quello che è avvenuto è un cambiamento. Cambiamento che è avvenuto sotto i nostri occhi, che noi abbiamo potuto vedere e di cui siamo consapevoli. Tuttavia, è un cambiamento sintetizzato quasi come un venire all’essere di elementi che prima non c’erano. Questo è il secondo punto, forse il più importante della riflessione. Nel processo temporale che abbiamo messo in evidenza nel prima non c’era nulla, indichiamo che intorno a noi non c’era nulla, mentre ora c’è qualcosa che abbiamo visto in essere, che abbiamo visto divenire nel tempo. Ma nulla è un termine estremamente ambiguo ed è la chiave di volta della trappola di questa affermazione. Ovvero affermare che prima non c’era nulla, non significa dire che prima c’era il nulla ma che prima comunque c’era qualcosa che per noi è nulla. La trappola di questa affermazione è tutta qui. Non possiamo affermare che prima non c’era nulla in quanto il nulla presuppone che neanche noi ci fossimo e che non ci fosse neanche la realtà sui cui, poi, è venuta a crescere la città. Il vero problema logico è che prima c’era qualcosa che, per noi, è nulla. Dunque, ora che ci sono palazzi di cemento, strade asfaltate, cancelli a protezione e servizi di gestione e controllo, c’è qualcosa. Dire che prima non c’era nulla significa affermare che solo l’urbanità è qualcosa, che solo l’urbanizzazione è qualcosa che ci permette di vivere, mentre le zone rurali, i terreni, gli alberi, le piccole costruzioni di campagna sono quel nulla. In questo modo, il negativo, la mancanza, ciò che non c’è è costituito da un’ambiente che noi abbiamo ritenuto nulla, in favore di una urbanizzazione fatta anche di cemento, di consumo di suolo, di usura dell’aria che l’affermativo, che è il positivo, il futuro e il progresso. Qui prima non c’era nulla è la considerazione dello spazio come foglio bianco in cui poter livellare ogni differenza, seppellire ogni centimetro di terra sotto il cemento, produrre ancora edilizia in nome di un progresso urbano che ci fa rimpiangere il fatto che prima lì non ci fosse nulla.
4 pietre”scoffolate”, 4 tufi decrepiti, 4 pareti infracidite
Questi i sinonimi del nulla ,nell’ambito urbano storico, di edilizia minore.
Con questa assoluzione di coscienza si punta a conquistare le appetibili aree centrali delle città con i modi violenti della sostituzione edilizia che non colpisce la mediocre edilizia in cemento armato degli anni 60, 70, 80 , molto piu’ faticosa ed onerosa da acquisire, ma l’edilizia in tufo volutamente abbandonata a se da investitori che la lasciano degradare per poter dire :” 4 pietre”scoffolate”, 4 tufi decrepiti, 4 pareti infracidite”.
La tecnica e’ compiacente perché e’ più facile la gestione del nuovo che il suo , possibilissimo, recupero.
Quello che si perde, più che la memoria, e’ la complessità spaziale delle aggregazioni di edilizia spontanea che ,pur nell’inconsapevolezza culturale dei loro esecutori, sono 100 anni avanti quanto a modernità rispetto a tanta produzione edilizia che si spaccia tale
E’ vero abbiamo costruito troppo. Negli ultimi 70 anni si è edificato un volume edilizio e occupato uno spazio aperto come quello occupato per un periodo di trecento anni prima. Sotto il concetto di “sviluppo”. Ora affianchiamo la parola “ sostenibile”. Perché continuare con il precedente e’ “insostenibile”. Progettare il futuro è difficilissimo. Bisogna essere aperti al dialogo e al confronto. Ci sarà sempre un prima e un dopo. Bisogna progettare in modo consapevole per lasciare alle generazioni future questo mondo, questa terra, questo territorio, queste città storiche, nel miglior modo possibile. Costruire sul costruito. Togliere asfalto e mettere alberi. Edificare con materiali riciclabili nel tempo. “Libertà non è stare sopra un albero – Libertà e’ partecipazione “ (da una canzone degli anni ‘60).