Perdonaci, Padre, perché non siamo con loro

Perdonaci, Padre, perché non siamo con loro

20 Luglio 2024 0 di Makovec

Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34

Nel 1955, don Lorenzo Milani scrive a don Ezio Palombo che gli chiede un consiglio sulla utilità o meno del ping-pong per le attività pastorali. Don Lorenzo risponde a don Ezio con una lettera che, ricordo ancora, era ben fissa nella bacheca della mia parrocchia. Nella lettera don Lorenzo afferma che se don Ezio avesse preso il tavolo da ping-pong e spaccato nel mezzo avrebbe fatto bene perché si tratta di un mezzuccio per adescare qualche persona in più in parrocchia, trasformano la parrocchia in un circolo ricreativo piuttosto che in un luogo di elevazione umana e spirituale. Infatti, continua don Lorenzo nella lettera a don Ezio, che l’unica cosa che resta da fare ad un presbitero è quella di puntare in alto, di stare in grazia di Dio e di sfottere crudelmente non chi è in basso ma chi mira basso, rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza e la sua mediocrità. E don Lorenzo Milani è colui che conclude la sua opera Esperienze pastorali affermando che la gente non va più in chiesa perché la Chiesa è povera spiritualmente, perché ha rinunciato alla sua missione di annuncio altro e alto del vivere. E se don Milani rimane ancora oggi un prete scomodo e forte in molte delle sue affermazioni, è quella figura che papa Francesco ha indicato come esempio di passione e di dedizione per il popolo. Infatti, non c’è nulla di don Lorenzo, che sia andato oltre il suo essere prete e pastore del popolo, quel pastore che, come ci ricorda il profeta Geremia raduna le pecore disperse, va in cerca della pecora, e non le disperde. La denuncia che Geremia pone ai pastori del popolo riguarda non solo i capi politici ma anche i capi religiosi del popolo, i quali pensano che il potere sia una loro prerogativa, un loro privilegio e non si curano più del gregge, tanto da disperderlo. Non escono più a cercare il popolo, ma aspettano che il popolo arrivi da loro, che la gente chieda o ammiri il prete. Quel clericalismo da circoli chiusi per cui mettiamo in scena tante immagini e sui social tante foto per far vedere le parrocchie piene ma che segnano una profonda crisi di persone che non frequentano più le comunità parrocchiali. Tante iniziative come offerte promozionali che servono per attirare gente, per creare piccoli momenti di divertimento o di devozione senza andare a cercare le persone nei luoghi che frequenta, nel lavoro, nelle difficoltà economiche, nella perdita di speranza, nella resa dinanzi alle questioni sociali, senza porsi un interrogativo sulla città e sulla società in cui viviamo. Una dispersione del popolo che continuiamo a registrare e dinanzi a cui sembriamo essere impotenti perché, come ci ricorda il Vangelo, non usciamo più a cercare le persone. Quella dimensione missionaria che ci pone in dialogo con tutti, con chiunque incontriamo, non solo con coloro che la pensano come noi, ma con ogni essere umano che ancora cerca, lotta e cammina su questa terra. Per questo motivo Gesù è venuto e per questo motivo, come ci ricorda Paolo, egli ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Molte volte pensiamo che le persone non vadano in chiesa perché sono indifferenti al problema religioso, perché sono troppo impegnate, perché c’è la secolarizzazione e tante altre scuse. Ma mai che ci poniamo una domanda sul nostro agire, soprattutto di preti. Sul nostro linguaggio sempre uguale, sulle nostre parole che sembrano dire tutto e non dicono nulla, di pareri che diamo su tutto e su tutti senza dati alla mano, di mancanza di studio, di approfondimento, di spessore umano, di arretratezza culturale, di circoli privati entro cui ci rifuggiamo, dei piccoli compromessi con i politici di turno, del nostro voler essere ammirati dalla gente o dal nostro porci divise per indicare e rimarcare la nostra distanza e i nostri privilegi. Radunare, allora, è il processo che ci mette dinanzi la Parola di oggi. Radunare il popolo andando a cercarlo, rompendo ogni muro, ogni confine, ogni inimicizia in noi stessi, con un profondo spessore umano, spirituale e culturale, richiesto in modo particolare nella vita secolare e nell’essere preti secolari. Ricordarci, come annotava don Lorenzo in Esperienze pastorali quando il parroco in processione, vedendo le persone ai bordi della strada, affermava: “Perdonali, Padre, perché non sono con noi”. Don Lorenzo rispondeva: “Perdonaci, Padre, perché non siamo con loro”.