Il prossimo: più di tutti gli olocausti e i sacrifici
Dt 6,2-6; Sal 17; Eb 7,23-28; Mc 12,28b-34
Il 23 ottobre scorso, Raniero La Valle ha scritto una lettera agli Ebrei della Diaspora, ovvero a tutte quelle persone di etnia e religione ebraica che vivono in Italia, in Europa, come anche in tanti altri Stati del mondo. Sappiamo bene come lo Stato di Israele, ora in guerra con Palestina, Libano e Iran, non sia la rappresentanza totale di tutto il popolo ebraico, ma sappiamo anche come, in molta propaganda politica dell’attuale presidente Netanyahu ci sia una rivendicazione di «una filiazione diretta delle sue scelte dai comandi di Mosè e dalle gesta di Giosuè, stabilendo una continuità di fatto tra le azioni distruttive di oggi e gli stermini di ieri dei popoli vinti da Israele nell’epica conquista della Terra promessa, interpretando settariamente l’effetto della presenza di Israele sulla “mappa” del mondo in termini di benedizione e maledizione, presentando lo Stato di Israele nella forma di un messianismo realizzato e rompendo con la comunità delle Nazioni in una rinnovata contrapposizione tra Ebrei e “Gentili”. Una linea di governo che si è manifestata bollando l’Organizzazione che le riunisce, l’Onu, come una “palude di antisemitismo”, non risparmiando la vita dei suoi operatori umanitari, attaccandone i militari in missione di pace, dichiarando persona non grata il suo massimo rappresentante e sdegnando le pronunzie, i moniti e le accuse, dei suoi organi istituzionali e giudiziari. Siamo particolarmente raccapricciati e appare blasfema la pratica di uccidere i nemici uno per uno e promettere di ucciderli tutti invocando il nome di Dio, avendo in premio la luce e l’entusiastico consenso di Biden» (https://www.saveriani.it/missioneoggi/attualita/item/lettera-ai-nostri-contemporanei-del-popolo-ebraico-della-diaspora). Una certa lettura storico-letterale della Scrittura, infatti, rischia di diventare un “suicidio del pensiero” come afferma la teologia cattolica ma anche la ripresentazione di una terra promessa alimentata dove scorrono non latte e miele ma genocidio e sterminio. Genocidio del popolo palestinese da una parte ma anche sterminio del popolo ebraico dall’altra, in quanto condannato ad una guerra infinita avvalorata da un vittimismo carnefice che rischia di sminuire o vanificare l’uccisione di tante persone ebree nel passato. Una terra promessa in cui, come dicevamo, non sembra sgorgare latte e miele ma sangue e macerie, ma che ci spinge anche a ripensare e a meditare sul significato più profondo di terra promessa e, per noi cristiani, di terra promessa realizzata in Cristo. Infatti, la terra promessa, per Gesù non corrisponde ad una dimensione geografica, non ha confini netti, tantomeno muri e fili spinati. La terra promessa si realizza nel momento stesso in cui teniamo fissi dentro di noi i precetti del Signore, come ricorda Mosè. La terra promessa sgorga nel custodire la Parola, nel coltivare una relazione viva e vivificante con la Parola. Quella stessa relazione che ci permette di essere generativi, di sviluppare una apertura alla vita non solo per numero di figli, ma soprattutto per la collaborazione a costruire una terra in cui sgorgano latte e miele, in cui c’è dolcezza e bellezza. In questo modo, allora, la terra promessa diviene anche il lastrico del condominio, il marciapiede dinanzi a casa, il mercato in cui incontro persone, la comunità parrocchiale quando ciascuno contribuisce, con la sua bellezza e dolcezza, a costruire comunione. Ogni luogo può diventare terra promessa in Cristo Gesù, nella misura in cui quel tenere fissi nel cuore i precetti del Signore, quell’amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza, diviene Amerai il tuo prossimo come te stesso. Se per un eccessivo zelo nell’amare il Signore non ti accorgi del prossimo e non pensi che colui che ti è accanto è il tuo prossimo, allora c’è qualcosa che non va, allora, il Signore della vita è un idolo dinanzi a cui puoi sacrificare e uccidere, distruggere e condannare tutte le altre persone. Allora, il rischio è quello di far valere più tutti gli olocausti e i sacrifici che la voce dell’altro, che l’amore per il prossimo. E di questa tentazione ne siamo tutti vittime e carnefici, siamo tutti sulla stessa barca. Per questo, il modo attrverso cui poterci liberare dalla tentazione di far valere tutti i nostri principi rispetto all’altro è quello di riconoscerci nell’unico sacrificio di Cristo, che ha dato tutto se stesso. E noi non siamo più nella Legge antica per cui il levito doveva offrire per se e poi per gli altri più volte, ma Gesù una volta per tutte ha offerto se stesso, ha donato tutto se stesso, rendendoci prossimi a lui, riconoscendo come nel prossimo che può essere chiunque, anche colui con il quale non sono d’accordo, si rivela la sua presenza, si riflette il suo volto, è anche lui tempio dello Spirito. Non il commilitone, non il camerata, non il complice, ma nel prossimo ritroviamo Colui che è sempre vivo per intercedere a loro favore, Gesù Cristo sommo sacerdote.