Endogestazione ed esogestazione
Is 40,1-5.9-11; Sal 103; Tt 2,1-14;3,4-7; Lc 3,15-16.21-22
Quando ci accorgiamo di essere nati? È una domanda a cui è difficile dare una risposta non perché non c’è stata una data precisa in cui siamo nati, ma perché nei primi mesi non c’è una coscienza del nostro essere nati. Anzi, a dirla di più, non è detto che riusciamo a giungere mai alla consapevolezza di essere nati? Per alcuni possiamo solo essere nati in una data o in un orario preciso, ma questo non significa che siamo consapevoli della nostra nascita o che ci accorgiamo di essere, per davvero nati? Dal punto di vista scientifico, infatti, questo elemento di una consapevolezza non puntuale ma graduale dell’essere nati ci viene dalla differenza fra la endogestazione e l’esogestazione nei primi mesi post-partum. Come quando siamo stati portati in grembo, per nove mesi dopo il parto il nostro corpo non si accorge ancora di essere nato, non sappiamo ancora di essere fuori dall’utero materno e per questo adottiamo gli stessi comportamenti di quando eravamo ancora in utero, nell’endogestazione. Allora, la consapevolezza di essere nati è ciò che acquisiamo nel tempo, ciò che giunge attraverso un cammino che ha come momento culminante, come nel Battesimo di Gesù: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Siamo consapevoli di essere nati solo e soltanto nel momento in cui ascoltiamo queste parole, in cui, nelle differenti forme in cui possono essere dette, siamo consapevoli che Dio si compiace di noi, nel Figlio suo, nel Battesimo del suo stesso Figlio. Allora, il battesimo non è solo nascita ma rinascita, consapevolezza e coscienza di essere nati in questo mondo nella misura in cui riconosciamo che il Signore si è compiaciuto di noi, che il Signore ci ha amati e continua ad amarci nel Figlio. E da quel momento, in cui siamo consapevoli che abbiamo un Padre che ci ha amati nel Figlio, viviamo la nostra vita nello Spirito, una vita fra endogestazione ed esogestazione. Una vita che trascorre allo spartiacque della nostra nascita che è consapevolezza anche della morte e dell’essere morti in Cristo. In questo momento, la nascita nel battesimo non è più solo un momento iniziale ma un modo di essere continuamente nuovo e rinnovato, un modo di essere in una relazione intima con il Signore e in un annuncio che guarda il mondo con gli occhi di chi nasce e ha ancora il coraggio di nascere. Una dimensione endogena in cui, come ci ricorda Paolo, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna. Una dimensione endogena in cui non contano le opere che abbiamo svolto, non conta quanto valiamo o il peso che abbiamo dinanzi agli altri, come neanche l’importanza del lignaggio o dei nostri avi, ma solo la sua misericordia. È una dimensione in cui siamo immersi nell’acqua della sua misericordia, in cui rimaniamo attaccati, come con un cordone ombelicale a quella vita eterna che ci nutre e da cui attingiamo vita. Quella sua misericordia che ci fa sentire liberi e autentici in quanto custoditi da Dio, in quanto immersi nella rigenerazione e nel rinnovamento dello Spirito, effuso su di noi in abbondanza, quello stesso Spirito che è disceso, in forma di colomba sul Cristo e che è lo Spirito di Cristo. Quella dimensione endogena in cui ascoltiamo, percepiamo, guardiamo il mondo nella benedizione del Signore, attraverso quello sguardo contemplativo che ci fa scorgere in ogni dove, dalla natura alla storia, le grandi opere del Signore: Benedici il Signore, anima mia. E una dimensione esogena in cui non cambiamo il come siamo, non ci travestiamo da altro, ma portiamo quella immensa misericordia di Dio nell’annuncio agli altri, nell’alzare la voce come ci ricorda Isaia. Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Noi possiamo annunciare solo ciò che abbiamo vissuto, solo quell’esperienza di Dio senza pretese e senza costrizioni. Possiamo annunciare quella meraviglia che il Signore ha fatto con noi in una dimensione di esogestazione dove non siamo nati una volta per sempre ma siamo in una costante consapevolezza del nostro nascere. Per cui l’annuncio del Signore, la nostra consolazione è nell’ascolto degli altri che ci permette di crescere, un ascolto che spiana i monti, colma le vallate ma, ancora di più, ci permette di guardare a Cristo come colui che si prende cura di noi, colui che come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri. Così, il battesimo, come nella sua dimensione liturgica è fatta di un catecumenato, di una parte di istruzione, e di una mistagogia ovvero di una iniziazione ai misteri divini, così la nostra esistenza e la nostra vita spirituale, nel battesimo, è in una continua endogestazione ed esogestazione, per somigliare sempre più a quella bellezza che è il Cristo Crocifisso e Risorto.