Contro il clericalismo, ritorno al vangelo
1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
È uno dei mali più manifesti e più difficili da estirpare: il clericalismo. Lo affermiamo con una punta di ironia ma anche con profonda considerazione di un fenomeno che papa Francesco ricollega alla mondanità spirituale, come tentazione dolce di ricevere qualcosa rispetto al proprio ruolo, al proprio status sociale ed ecclesiale. Ma sbagliamo, infatti, se pensiamo che il clericalismo sia solo una difettosa e fastidiosa prerogativa dei preti, ma anche i laici e le laiche non sono esenti da tutto questo. Nel suo libro Contro il clericalismo, ritorno al vangelo, Yves-Marie Blanchard ci aiuta a mettere a fuoco il fenomeno e la dinamica clericale che, come già suggerisce il titolo, non ha nulla a che vedere con il Vangelo di Gesù. E Blanchard afferma che il clericalismo è la concentrazione di potere nelle mani di una o di un piccolo gruppo di persone, senza dialogo, senza confronto, emarginando il divergente e chi non la pensa allo stesso modo del potente di turno. Ma, potremmo aggiungere, anche una forma di parassitismo nei confronti della società, delle comunità ecclesiali, delle persone. Se volessimo tradurre in un’immagine il clericalismo non bisognerebbe andare molto lontano dalla spiegazione di Gesù nel Vangelo a proposito degli scribi. «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Non guardatevi da tutti gli scribi, come se Gesù avesse in mente una determinata categoria, ma un modo di fare, di chi sfrutta il proprio potere e la propria conoscenza, per vivere da parassita nei confronti delle case delle vedove, fino a divorarle. Come amano passeggiare in abiti firmati, ricevere i saluti nelle piazze, i primi posti, senza smuovere nulla, senza mai fare i conti effettivamente con la realtà, senza preoccuparsi né della Parola di Dio né delle altre persone, tranne che per essere utilizzate e buttate via. Una malattia che debilita il corpo ecclesiale perché ottunde la mente, non permette di vedere e scorgere la realtà per quella che è. Il clericalismo, in quanto forma di potere, è una patina plastificata e impermeabile alla realtà che vive e si agita solo per godere del proprio riflesso e della propria autoreferenzialità. È quella patina impermeabile che non permette al mondo di entrare nella Chiesa e non permette alla Chiesa, ai gruppi ecclesiali, di confrontarsi sulla realtà. Una patina che rischia di inficiare anche tutti gli sforzi dei processi sinodali, per cui di alcune cose è sempre meglio non parlarne e tagliare via. E se non lo abbiamo ancora compreso come, ritornando a Blanchard, il clericalismo è contro il Vangelo stesso, ci basta porre attenzione allo sguardo di Gesù. Da una parte afferma di guardarsi da, mentre dall’altra parte osserva come. Ci si guarda dagli scribi che divorano le case delle vedove e dall’altra parte osserva come una vedova mette nel tesoro del Tempio due spiccioli che fanno un soldo. Mette nel tesoro del Tempio tutto quello che aveva per vivere, tutta se stessa. I ricchi mettono tanto di superfluo, mentre quella povera vedova che nessuno aveva notato, ecco che mette tutto se stesso. Perché questo sguardo evangelico, questo sguardo di Gesù ci salva dalle pastoie del clericalismo, dalla plastica malata e soffocante di una Chiesa che non riesce a fare i conti con la realtà, come ha fatto Gesù. Perché lo sguardo evangelico è uno sguardo che fai conti con la sofferenza delle persone, che non si gira dall’altra parte dinanzi alla sofferenza e al bisogno, dinanzi alle necessità, dinanzi alle persone che non riescono a trovare e a dare un senso alla vita. Uno sguardo che non si chiude dinanzi alla mancanza di lavoro, all’inquinamento ambientale, ai cambiamenti climatici, alle migrazioni da guerre e da carestie, dinanzi a tutti i peccati personali ma anche sociali che fanno parte della realtà. Anzi, la Lettera agli Ebrei, ci viene a raccontare che Gesù stesso ha offerto se stesso proprio per togliere il peccato e per presentarsi a coloro che aspettano la salvezza. Fra condizione di peccato e attesa della salvezza si gioca la nostra relazione con la realtà e ogni fuga dinanzi a tutto questo ha odore di clericalismo perché spinge verso una gestione del potere sulle coscienze come anche sulle comunità. Fra condizione di peccato e attesa della salvezza, allora, ciò che ci permette di evitare il clericalismo è la stessa postura che ritroviamo già con Elia, il quale osa prendere su di sé la Parola di Dio nelle sue parole. Non troviamo detto che Dio dice delle parole ad Elia da riferire alla povera vedova, ma le sue parole rispecchiano la Parola di Dio, nel momento in cui osiamo parlare dinanzi alle carestie umane, spirituali e sociali che devastano ancora la terra. E la nostra parola diviene anche preghiera per tutte quelle persone oppresse, affamate, emarginate, prigioniere, straniere, come ci ricorda il Salmo. Perché se la nostra tentazione di clericalismo può farci ovviare e deviare dalla realtà preferendo una piccola e mediocre gestione del potere, è anche vero che il Signore rimane fedele per sempre a chi sa guardare la realt con lo sguardo di Gesù.