Città e democrazia: impolitici e impotenti
Ho avuto l’occasione di relazionare all’Ordine degli Architetti di Pescara-Chieti in occasione del Festival dell’Architettura. Città e democrazia. Il tema che mi è stato presentato da Matteo Di Venosa, docente di urbanistica e preside del Corso di Laurea in Scienze dell’Habitat Sostenibile, è la relazione fra progetto e democrazia. Campi enormi di interesse e di intervento, non solo per gli architetti ma soprattutto per la politica. Ed è qui il primo elemento che desidero mettere in rilievo. Durante il piacevole dialogo con gli architetti, abbiamo rilevato come il progetto di cui essi si interessano riguarda le norme tecniche e l’applicazione di leggi già fatte. Oltre la molta arte di cui l’architettura si nutre e di cui gli architetti hanno ancora bisogno di nutrirsi, c’è tutta una serie di normative, protocolli, operazioni progettuali da rispettare che non possono essere messe da parte ma che, anzi, in qualche modo bloccano o salvaguardano il progetto e l’ambiente circostante. In altri termini, si è messo in evidenza come il lavoro di architetto abbia molto a che vedere con un progetto a norma di legge, piuttosto che con la democrazia e la progettualità democratica, la quale è ambito della politica e, soprattutto, dei rappresentati politici, dei governi e delle amministrazioni. Ebbene, io penso che siamo ancora troppo malati di impolitico. Secondo una definizione di Zagrebelsky, citata dall’Enciclopedia Treccani, «L’antipolitica è un’energia che può essere mobilitata “contro”: i partiti, i politici di professione, la democrazia parlamentare. Non è un caso che il populismo sia antipolitico e mobilitante. In un certo senso, è un atteggiamento attivo. L’impolitica è l’esatto contrario: è un atteggiamento passivo, di ritrazione, di stanchezza. Un modo di dire: lasciatemi in pace […] L’impolitico è pronto a sopportare qualunque cosa. L’antipolitico, invece, è disposto a mobilitarsi. Si potrebbe dire che l’impolitica è la fase suprema dell’antipolitica, quando non si crede neppure più al populismo». (Gustavo Zagrebelsky, Stampa.it, 6 novembre 2017, Cronache). Non è solo un atteggiamento che si registra fra gli architetti, ma anche in mezzo a tutti i cittadini che ritengono la politica non qualcosa verso cui remare contro, ma un qualcosa che non riguarda noi e che da cui vorremmo essere lasciati in pace. La poca partecipazione politica, come anche le decisioni che vengono prese nei palazzi del potere, ma anche il bombardamento mediatico, suscitano una resa dinanzi ad una concezione della politica vista solo e soltanto come polemos, come guerra. Non si tratta, quindi, di un atteggiamento morale, ma di una esistenza che si arrende dinanzi alle decisioni altrui, che non ha più la forza di lottare e di interessarsi alla politica. Una resa dinanzi alla complessità normativa, dinanzi alla performance richiesta per cui tutte le energie confluiscono verso un lavoro prestante e smart, per poi tornare a rintanarsi a casa, lontano da tutto e da tutti. Ecco, allora, che il primo passo verso una progettualità democratica delle nostre città si scontra con uno sconforto sempre più crescente e acuito dalla pandemia, dalle guerre, dai fenomeni globali, dinanzi a cui non ci sentiamo solo impolitici ma, addirittura, impotenti.
Caro Matteo, non so cosa ti abbiano detto gli architetti abruzzesi.
Io , dopo un lungo percorso di vita, trovo che la democrazia, la libertà, la creatività, la coscienza critica e morale , giorno dopo giorno, vengono limitate e marginalizzare da quell’Idra malefica che chiamiamo: sistema normativo.
C’e’ una cultura operante che crede che la produzione legislativa ci rende migliori, e quindi legislstori che si attivano proporre testi di legge , norme, regolamenti in modo da contemplare con regolamenti ogni fattispecie umana. Li fa sentire politici bravi.
Siamo sommersi da milioni di norme, che non conosceremo mai, che esercitano un potere oppressivo e limitante anche dove non ce ne sarebbe bisogno. Laddive noi avremmo bisogno semplicemente di buon senso, fiducia , dialogo e quindi POLITICA ci ritroviamo commi, definizioni, procedure, sanzioni, pene cioè Giustizia. Io trovo che questo sistema , in continua espansione e infrenabile, e’ la vera faccia dell:antipolitica che profuma di fascismo tecnocratico.
Impolitica è generata dalla pigrizia e dall’ ignoranza. L’ antipolitica dal”Cetto Laqualunqe che è nascosto in ognuno di noi. Se mi sento minacciato le norme sono sempre poche e se qualcosa va male la colpa è sempre di qualcuno che deve pagare. Se toccano i miei interessi, beh, le norme sono troppe e ingiuste. Il problema è che il percorso di crescita civile è ostacolato da chi ha tutto l’ interesse a mantenere il potere. Ci servono nuovi leader portatori di saggezza, credibilità e in grado di testimoniare con il proprio esempio.
I nostri rappresentanti politici ci hanno voluto malati di inpolitico. Con noi così malati, loro, hanno avuto gioco facile. E noi cittadini ci siamo messi addosso un abito che abbiamo indossato molto bene: l’abito del disinteresse. Ai corsi di formazione sociopolitici abbiamo imparato che le leve della democrazia le ha in mano il popolo, se il popolo non c’è, la democrazia non funziona. Leggendo il libro “Un altro giro di giostra”, l’autore Tiziano Terzani, ricoveratosi in un centro antitumori, andò dal capo dei ricercatori e gli chiese: se la malattia, per mezzo del mio stile di vita, si é manifestata; se ritorno indietro recuperando il mio vecchio stile di vita, faccio fare un percorso inverso anche alla malattia, recuperando la mia salute? La risposta fu negativa. Ma nel nostro caso, sono convinto, che ritornare indietro, per recuperare l’assenza dei rappresentanti politici e delle istituzioni, sul piano dell’educazione alla partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica, potrebbe darci qualche possibilità.