
Cercare il Signore
Is 6,1-2a.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
Nel 1967, Fabrizio de André pubblica il suo Volume I in cui canta Spiritual. Canto e preghiera in stile gospel in cui la ricerca di Dio si trasforma in una invocazione di scendere dalle stelle e venire a cercarlo. Dio del cielo se mi vorrai in mezzo agli altri uomini mi cercherai. La ricerca di Dio da parte dell’essere umano diviene ricerca di Dio verso l’essere umano. Un essere umano che è fra le altre persone, che vive nel quotidiano, che si divide fra pianto e riso, fra i momenti belli e i momenti difficili, nelle situazioni sociali e politiche che attraversa, nella contemporaneità. In tutto questo cerchiamo Dio e Dio ci viene a cercare, viene a cercare noi che siamo uomini impuri in mezzo ad un popolo dalle labbra impure. Non siamo uomini e donne perfetti in mezzo ad un popolo imperfetti, come non siamo uomini e donne migliori in mezzo ad un popolo peccatore. Ma uomini e donne in mezzo ad altri uomini e donne, come il profeta Isaia. La visione di Dio avviene non quando il profeta è perfetto e pronto, ma quando il profeta si accorge di essere un uomo dalle labbra impure in mezzo ad un popolo dalle labbra impure, di essere in mezzo agli altri uomini e donne del suo tempo. E se questo ci risulta difficile da riconoscere, ci basti pensare che la Prima Lettura si apre con una notizia storico-politica e non con qualche riferimento teologico. Nell’anno della morte del re Ozia, Isaia riceve in dono la visione del Signore. Questa è la condizione per riconoscere la presenza del Signore nella nostra vita, ricordarci che siamo umani e che viviamo in mezzo ad altri esseri umani, che ci sporchiamo le mani insieme ad altri esseri umani perché il Signore è venuto a trovarci ed incontrarci in mezzo agli altri uomini e donne. E in mezzo agli altri uomini e donne noi lavoriamo e ci affatichiamo, ponendo come fondamento il Cristo risorto. Questa è la consegna di Paolo alla comunità di Corinto. Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. Non un vangelo differente, ma un vangelo che egli ha ricevuto e che ha trasmesso alla comunità di Corinto. Un Vangelo che è manifestazione del Cristo risorto, perché il Signore non appare come un fantasma ma ci ha lasciato la sua Parola e nella sua Parola egli si manifesta. Vangelo è epifania di Dio e in questa epifania attraversiamo la quotidianità, sia nei momenti belli sia in quelli difficili, sia nelle nostre gratificazioni che nelle delusioni che abbiamo ricevuto. Parola è epifania di Dio anche sulle sponde del lago di Tiberiade, dove Gesù chiede a Pietro di salire sulla sua barca. Quella Parola che non confondiamo con la dottrina che è sempre cangiante nel corso della storia e giunge sempre ad una maggiore comprensione della fede. Parola non è dottrina ma la dottrina ci aiuta ad entrare meglio in un contatto personale con la Parola. Senza questo contatto, senza questa relazione intima e profonda con la Parola, rischiamo di trasformare la dottrina in una ideologia che crea gerarchie di potere, alienazioni, abusi. La Parola è in una dimensione così profonda che entra in contatto con le nostre delusioni, che si rivela in quelle persone che ci rimangono accanto e che ci possono mettere anche una mano sulla spalla per infonderci coraggio nelle situazioni più difficili, come anche sorridere con noi quando raggiungiamo un traguardo. Sono queste persone che ci permettono di incontrare la Parola e che ci permettono di avere una relazione intima e libera con la Parola come è avvenuto a Pietro. Noi non abbiamo l’insegnamento di Gesù dalla barca, non sappiamo neanche cosa abbia detto, ma la sua Parola è stata così avvincente e convincente da superare anche le titubanze fondante di Pietro. Titubanze che egli affida sia all’esperienza per cui non si pesca di giorno sia alla delusione di averci provato per tutta la notte. È la Parola che ci permette di affrontare le delusioni e le criticità, di reincantare il mondo, di fuggire all’ansia e all’angoscia. È la Parola che ci permette di condividere le storie delle persone, di metterci in religioso ascolto delle storie degli altri perché in esse è contenuto il mistero di una chiamata, di una pesca miracolosa che ha salvato Pietro dal suo fallimento e contagia suo fratello Andrea, poi Giacomo e Giovanni. Solo nella misura in cui mettiamo in ascolto delle storie delle persone, possiamo ritrovare quella Parola che ci fa accorgere di essere indegni, di vivere in mezzo ad un popolo, imperfetti in mezzo ad un popolo imperfetto. E così possiamo rendere lode e gloria al Signore: Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà: hai reso la tua promessa più grande del tuo nome. Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza.