
Parole alte
Sir 27,5-8; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45
In Esperienze pastorali, don Lorenzo Milani traccia una delle sue convinzioni più profonde che, in seguito, lo porterà alla Scuola di Barbiana. L’intuizione più profonda è quella della potenza della parola. Ma non di una parola da salotto, non di una parola che si mescola al chiacchiericcio e neanche di opinioni che nessuno chiede e a cui nessuno interessa. Ma di una parola alta e altra, riflesso della Parola che si fa carne, della Parola che è Cristo stesso. Scrive in Esperienze pastorali:
Ed ecco toccato il tasto più dolente: vibrare noi per cose alte. Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quel che non si ha. Ma quando si ha, il dare vien da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo. Purché si avvicini la gente su un livello da uomo, cioè a dir poco un livello di Parola e non di gioco. E non parola qualsiasi di conversazione banale, di quella che non impegna nulla di chi la dice e non serve a nulla in chi l’ascolta. Non parola come riempitivo di tempo, ma Parola scuola, parola che arricchisce. Quando si ha idee chiare e un progetto preciso di costruire uomini capaci di affrontare vittoriosamente la lotta sociale, allora ha questa dignità perfino la parola che spiega un po’ di aritmetica. Allora la scuola è, a differenza del gioco e anche nelle materie più umili, ininterrotto comunicare pensiero.
Una parola alta, che porti a vibrare per cose alte, che non si accontenti della mediocrità e che non scambi l’importanza della parola con il giudizio sulle altre persone, con la chiacchiera che viene offerta giusto per passatempo, con vuoti concetti che possono essere offerti anche dagli amboni, con le opinioni individuali che non interessano a nessuno. Una parola, sembra suggerire don Lorenzo, che nasce dal cuore e che rivela ciò che dal cuore sovrabbonda, una parola evangelica. Gesù afferma che dalla bocca esce ciò che dal cuore sovrabbonda. Per cui se dalla bocca escono parole inutili o vuote, il cuore sarà vacuo e vuoto. Anche se a pronunciarle sono persone che hanno ruoli di responsabilità. Gesù non fa una differenza di ruoli o di genere, ma indica una preparazione, una palestra della parola che si impara attraverso maestri e, ben preparati possiamo diventare come i nostri maestri. Non si tratta di assumere ruoli di potere ma di esercitarsi nella parola, essere esperti dell’arte della parola, lavorare sulle parole e raffinarle perché attraverso di essere raffiniamo noi stessi, educhiamo la nostra umanità, riconosciamo che esprimendoci e prestando ascolto alle parole delle altre persone possiamo costruire comunità e una comunità politica. Infatti, politica nel senso più alto del termine è arte di costruire la comunità attraverso la parola, attraverso le parole che diciamo, interrogandoci sulle parole che pronunciamo. Perché è attraverso le parole che, come ricorda il Siracide, si vede la cura che abbiamo nei nostri confronti e nei confronti delle altre persone. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini. Le maggiori ingiustizie non si perpetuano e conservano a causa delle disparità economiche, questo è solo un sintomo, ma fra chi ha parola e chi non la ha, fra coloro a cui è concesso parlare e coloro a cui non è concesso. Ed è la parola che salva dalla morte, la parola che dice anche il nostro vivere e il nostro vivere bene, il banco di prova del vivere stesso è la parola. Tanto che, come ricorda Paolo, la salvezza ci viene data dal compimento della Parola delle Scritture e non dalla Legge. Una salvezza che non fa a meno della Legge ma che si rende conto che la Legge è un qualcosa di muto, che non parla più, perché la Parola si è fatta carne. Ecco, allora, come nella parola è nascosta anche la vita e la morte, il parlare o non parlare con qualcuno è segno di un affermare la vita o la morte dell’altra persona. Quando non parliamo più con un’altra persona, altro non stiamo dicendo che quella relazione è morta, perché viene meno la parola, quella parola che è riflesso della Parola, quella parola che impegna e costruisce legami. Ecco perché abbiamo bisogno di parole alte, di parole che ci facciano vibrare per qualcosa, per non essere ridotti solo a macchine produttrici, solo a bestie da soma, rinchiusi in un degrado per cui iniziamo a vedere pagliuzze negli occhi delle altre persone senza più accorgerci delle travi presenti nei nostri occhi, della cecità che caratterizza il nostro essere. Le persone più tossiche sono coloro che hanno sempre un giudizio su tutto e tutti, tranne che su se stesse. E quelle persone rischiamo di essere noi stessi. Per questo parole alte, parole altre, riflesso della Parola ci aiutano a coltivare noi stessi, a respirare quando l’aria sembra troppo asfittica e asfissiante. Parole che, come ci ricorda il salmo, possano aiutarci ad essere piantati nella casa del Signore e a fiorire negli atri del nostro Dio. Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio.