
La macchina del boss o il trash del dominio
La macchina del boss si fa notare. Che sia il piccolo boss di quartiere, come anche il grande boss della città, la particolarità della sua macchina è quella di farsi sempre e comunque notare. Perché la macchina non è solo un’autovettura ma è il segno della potenza su un territorio, il segno del potere sullo spazio pubblico. La macchina del boss è la macchina potente, la macchina che deve apparire, come era la corona o la carrozza del re nel passato. La macchina è lo status symbol del potere su uno spazio pubblico, è ciò che garantisce che gli altri vedano, che gli altri sentano una presenza non sempre rassicurante, il più delle volte molesta ed esteticamente brutta. In un modo o nell’altro il boss deve farsi sempre notare, deve apparire, deve dire che quello è il suo quartiere, che lui può girare con un’auto potente, in grado di compensare tutte le altre sue mancanze. Perché il potere ha bisogno sempre e comunque di apparire nello spazio pubblico, non solo di essere presente ma di farsi notare. E farsi notare non per quello che è, non per delle qualità, ma per la possibilità che ha di andare impunito dinanzi alla legge, di sostituirsi alla legge. Non di andare oltre la legge, ma di imporre la sua legge. E per imporre una legge, occorre uno spazio. E quello spazio non può essere l’intera città, ma il quartiere, la relazione di prossimità, di ravvicinamento del potere. Se il potere istituzionale ha bisogno di palazzi e di centri, il potere del boss, il potere mafioso ha bisogno della strada per imporre il suo dominio. Ecco perché non c’è bisogno neanche di avere case eleganti o gusti raffinati, ma basta una macchina potente, una macchina che giri e faccia da sorvegliante, giustiziere, controllore. Non un processo di liberazione dal potere ma di sostituzione del potere con un altro potere, di un potere su un altro potere, un potere parallelo, un potere che arriva lì dove le istituzioni non riescono ad arrivare, lì dove le istituzioni sono preda di interessi privati e speculativi, lì dove manca lo spazio pubblico. La macchina del boss viene a dire che dove non arrivano le istituzioni, dove non viene garantito il minimo per vivere, dove manca il sostegno e la sussidiarietà, c’è un nuovo potere a cui inchinarsi, a cui consegnare la propria libertà pur di sopravvivere e sopravvivere in tranquillità. La macchina del boss è il chic del potere, il trash del dominio. È quasi come la carrozza di Chaim Mordechai Rumkowski nel ghetto ebraico di Łódź. Ebreo messo a capo del ghetto di Łódź, Rumkowski collabora fedelmente con i nazisti emanando decreti sempre più dispotici all’interno del ghetto, fino a farsi portare in giro in carrozza, come se fosse un re. La macchina del boss è questo megalomane giro in carrozza all’interno di un quartiere desolato e desolante, in cui un potere si sostituisce ad un altro, una persona si erge a padrone e dominatore di altre persone, creando nuovi sistemi di sfruttamento, delle persone come dei territori. Il boss può anche abitare in una casa fatiscente, in una piccola casetta occupata anche in maniera abusiva, ma l’auto deve per forza essere chic e potente, perché il dominio su un quartiere si conquista anche con il trash stucchevole di chi non può dimostrare nient’altro che la propria automobile.
Buona serata il problema è inverso. Perché un’ auto potente e costosa affascina? , perché rappresenta la forza e il potere di chi la possiede? Perché molti uomini continuano a misurare la caratura dei propri simili non dalla statura morale, ma da quanto possiedono e dalla loro aggressività.. certi fenomeni sono causati più dalle vittime che dai “don Rodrigo” di turno. Bisogna cominciare a coprirli di ridicolo…..essere tutti un po’ Diogene di Sinope,. Quando Alessandro Magno volle incontrarlo lo trovo a riposare al sole, gli si paro davanti proiettando la sua ombra su di lui. Alla domanda cosa desiderasse da lui così grande e potente…..Diogene rispose: restituiscimi il sole. Ecco dovremmo, verso i potenti essere un po’ Diogene per scrollarci di dosso ogni forma di sudditanza o di sottomissione, ma soprattutto fargli capire che non si ha bisogno di loro.