Potere e Potenza
Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37
Nel 2018, come redazione di Logoi.ph, abbiamo pubblicato un numero sulle Ermeneutiche della violenza. Un numero che intendeva riflettere su un tema che, di per sé, non sembra nascere da una riflessione e che non contenga in sé una riflessione. Anzi, riflettere sulla violenza non è detto che ponga fine alla violenza stessa. Per questo, si è trattato di un numero non solo inattuale, ma anche rivoluzionario per la sua portata, anche perché contiene una intervista a Marc Augé, a cura di Annalisa Caputo, dal titolo L’esercizio della forza è intrinsecamente legato alla concezione del potere. Esercitare la forza su un’altra persona nasce dal ritenere di avere un potere sull’altra persona, fino a ridurla a un oggetto. Violenza sulle donne, violenza di Israele sulla Striscia di Gaza, violenza a scuola, violenza domestica, violenza di persone che consegnano un prigioniero nelle mani di un altro potente e che sa di poter esercitare la sua forza, anche violenta, su quella persona. Sono le parole di Pilato su Gesù, in catene: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». È la storia della violenza che si ripete, ancora e ancora. La storia della violenza che, nelle sue mille forme abusanti, sembra avere sempre come sottofondo l’idea per cui l’uso della forza è legato al potere. Eppure, oggi, nel giorno in cui facciamo memoria della solennità di Cristo Re dell’universo, ecco che ci viene presentata una potenza altra che distrugge e destruttura il potere stesso e, quindi, l’uso della violenza. La potenza di un Cristo che riesce a dire di sé di essere re e di essere nato per questo e di essere venuto nel mondo per dare testimonianza alla Verità, perché chiunque è dalla Verità viene a lui, completamente in catene e privo di ogni potere. È il mistero rivelante di un Dio che non ha potere e sceglie di non esercitare la forza per essere vicino ad ogni prigioniero, ad ogni disperato, ad ogni povero cristo che chiede e cerca aiuto. È lui che destrutturando ogni potere, decostruendo ogni violenza, consegnandosi egli stesso nelle mani della violenza e della tortura, verrà dalle nubi del Cielo. Questa è l’introduzione dell’Apocalisse secondo Giovanni. Quello stesso Gesù che non aveva risposto con la violenza, che non ha contrapposto il suo Regno ad un regno di quaggiù, è colui che si è offerto per salvare tutti noi, colui che si è offerto dinanzi ad ogni violenza e abuso. Non ha soppiantato un regno precedente per istituire un nuovo regno fatto nuovamente di abusi, di potere, di violenza. Ma ha distrutto per sempre il potere mettendosi dalla parte di ogni popolo, cultura, pensiero, persona. Dinanzi ad un potere che distrugge, uccide, pratica la violenza e si sente esercitato ad utilizzare la forza, ecco che Gesù risponde con un regno in cui non c’è potere, in cui tutti possono entrare, un regno che non è di qui perché non è un regno marcato sul potere ma sulle persone, sulla storia di chi ci è accanto, su quel frammento di eternità per cui anche una persona in catene, completamente soggetto all’uso della forza, come Gesù dinanzi a Pilato, rimane in piedi e continua a testimoniare la sua regalità, già preannunciata da Daniele, per cui il suo è un potere eterno ovvero una potenza che abbraccia tutti e che non fa differenza di muri ma fra chi si arrende alla realtà e chi ancora è capace di avere sogni e visioni. La solennità di Cristo Re, allora, ci riporti a questo Signore che si riveste di splendore, anche in catene, perché è un re che spiazza, decostruisce e supera il potere attraverso la potenza dello Spirito. Una potenza che ci fa resistere e non cedere ai colpi del potere e della violenza, ma ci permette di splendere.